Dopo aver parlato di start up tutte italiane nel precedente articolo, è arrivato il momento di concentrarci invece su alcuni esempi di donne imprenditrici in Italia e nel mondo. L’imprenditoria femminile è sicuramente ancora tutta da potenziare e incentivare, si trova in una condizione di minoranza nel mondo e ancora meno in Italia (soprattutto nell’imprenditoria in cui si registrano soltanto circa 1 donna su 5) CANVA: Partiamo subito con una start up molto famosa fondata da Melanie Perkins e che vale più di un miliardo di dollari. Nel 2007, la Perkins si trova in Australia ad insegnare ai suoi studenti come utilizzare programmi come Photoshop ma trovandoli molto difficili da usare per loro, le venne in mente un’idea: uno strumento online per creare, inizialmente, annuari scolastici che piano piano si è espanso al di fuori dell’Australia insieme al contributo del co-fondatore Cliff Obrech. Oggi tutti hanno la possibilità di realizzare prodotti di grafica non troppo complicati. MADAME MIRANDA: Piattaforma di servizi hair&beauty on demand fondata da Diamante Rossetti e Gioia Fiorani. La start up provvede all’esigenza di potersi prendere cura di sé stessi con trattamenti al corpo, viso, per i capelli e quant’altro con il vantaggio di essere sempre disponibili su richiesta ogni giorno ad ogni orario possibile fino alle 22 (andando così a sorpassare il problema che accomuna molti: non avere tempo negli orari prestabiliti dei vari saloni perché impegnati con il lavoro o altro). RISPARMIO SUPER: è Barbara Labate, siciliana, la co-fondatrice e CEO di Risparmiosuper.it, un sito e anche app che permette di confrontare i prezzi dei prodotti prima di andare a fare la spesa per riuscire a capire dove si possono trovare offerte migliori. Anche le aziende ne traggono profitto perché grazie all’app è possibile confrontare i propri prezzi con quelli dei concorrenti. Il tutto è nato da un’idea che le venne in mente proprio quando, da studentessa fuorisede, come molti lo sono stati, aveva il problema di risparmiare sulla spesa al supermercato, grazie alla validità del suo progetto vinse anche dei finanziamenti che la aiutarono a mandare avanti la sua idea. ORANGE FIBER: Impresa nata dall’idea di Adriana Santanocito, studentessa di Fashion e Design che iniziò ad interrogarsi su una possibile soluzione agli scarti industriali agrumicoli in una società che sempre più doveva volgere a cambiamenti sostenibili. Riuscì così con le sue idee e i suoi progetti a creare un filato innovativo partendo proprio dagli agrumi, depositando così in seguito un brevetto. Il tutto si concretizzò per bene nel 2015. Come è ben chiaro, questo progetto oltre ad essere innovativo è anche utile in maniera concreta e sostenibile all’ambiente grazie alla realizzazione di questi capi di vestiario in pratica biodegradabili, aiutando a smaltire anche le emissioni di Co2. YAMGU – You are my guide: Nata grazie a Ester Liquori da sempre un’amante dei viaggi; si tratta di una start up tutta italiana del turismo e più in particolare del social travelling. Essa è basata sull’intelligenza artificiale, nata nel 2014 ha lo scopo di dare all’utente la possibilità di programmare il proprio itinerario step per step e rimanendo, allo stesso tempo, aggiornato in tempo reale sulle condizioni meteo, gli eventi e le novità in corso nella destinazione prescelta sfruttando i dati presenti online riguardanti la città. DRESS YOU CAN: Start up nata dall’idea di Caterina Maestro Cottini nel 2014 sottoforma di esperimento di dress sharing che consiste principalmente nel noleggio di abiti, accessori e scarpe, all’insegna anche di un’economia sostenibile. Così ognuno almeno per una sera potrà concedersi ad un costo contenuto un abito, un accessorio particolare normalmente non accessibile a tutti e al tempo stesso monetizzare grazie al proprio guardaroba in affitto. BRANDON: Impresa fondata da Paola Marzario, è un distributore per i siti online e il suo primo fornitore è stato proprio la Moleskine nel 2012. La loro piattaforma ha come obiettivo quello di incentivare le vendite in base anche a dove c’è maggior traffico così l’utente finisce per trovarsi un intero catalogo dettagliato delle merci in varie lingue e un’altra serie di servizi annessi e ben curati. Brandon è ad oggi un distributore online che si specializza nel settore fashion e home&living. Questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi di imprese tutte al femminile che hanno anche riscosso un considerevole successo. Purtroppo, i numeri in Italia e nel mondo di imprenditrici non sono ancora quelli sperati e auspicati, ma sappiamo che i progetti e le capacità invece sono innumerevoli Fonti:
www.startup.info.it www.ilpost.it www.startupbusiness.it www.vivipositivo.com
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In un mondo, quello di oggi, pieno di iniziative, progetti e molto altro risulta utile far emergere anche le idee di tanti giovani che si sono cimentati in un progetto portandolo a termine con successo. L’Italia ha ancora bisogno di far crescere di più il numero dei suoi startupper ma vi si sta lavorando in qualche modo tramite fondi e finanziamenti anche a tasso zero per quei giovani che vogliono avviare una loro impresa (ma anche per chi una sua l’ha già avviata!) Ad esempio, si vuole aumentare il numero dei beneficiari di questo anche alle imprese che sono in campo da non più di 5 anni; aumentare la durata del mutuo dagli 8 ai 10 anni; nei punti aggiornati a marzo 2020 c’è anche la riduzione della quota di capitale proprio dal 25% a soltanto il 10%. Perché non diamo un’occhiata a qualche giovane imprenditore? Vediamo di quanti di questi avete già sentito parlare: (Altrimenti è l’occasione buona per conoscerli!) Valerio Masotti: è un giovane noto per aver già vinto diversi concorsi che consistevano nella realizzazione di video e spot promozionali, anni prima. Poi, nel 2008, diventa il co-fondatore di Slevin (insieme ad Andrea Masotti), una Creative Company nata a Roma nel 2011, di cui oggi è tutt’ora il presidente. Essa si occupa di Web, Graphic, Video, motion graphic, social media e tanto altro, fra cui numerosi progetti in ambito food&beverage. Francesca Bosco: Donna laureata in giurisprudenza, è stata da sempre appassionata di diritto internazionale. Al giorno d’oggi, è una delle autorità principali per quanto riguarda l’internet e la criminalità. Il suo grande impegno e duro lavoro l’hanno portata anche al World Economic Forum di Ginevra dove attualmente si occupa di cyber-resilienza. Il suo team è totalmente femminile, esperte provenienti da tutte le parti del mondo. Domenico Colucci: È un giovane startupper pugliese under 30, fondatore di Nextome (un’app per la navigazione indoor ) che è stato premiato addirittura ad Helsinki durante gli Europioneers nel 2015 come miglior imprenditore web dell’anno. La piattaforma, creata nel 2013 insieme ad un gruppo di under 30, riscosse molto successo e fu pensata per l’appunto per permettere alle persone di orientarsi meglio all’interno di spazi chiusi nei quali, si sa, il GPS non funziona per niente. Con essa invece è possibile visualizzare la propria posizione su una specie di mappa digitale che ti dà indicazioni precise su tutto ciò che c’è nelle tue vicinanze (ovviamente al chiuso!) Giulia Detomati: Fondatrice dell’associazione no-profit 20Sostenibili che si prefigge come scopo la realizzazione in campo ambientale di progetti con una attenzione speciale all’innovazione sociale e comunicativa. La Start-up insieme a enti pubblici, realizza anche studi di fattibilità per ideare qualcosa che vada a tutelare le aree libere o a rischio di edificazione. Augusto Marietti: è il co-creatore di Mashape insieme a Marco Palladino: un marketplace dove gli sviluppatori vendono “pezzi” di software, anche un mix di tool. Ad oggi, la piattaforma conta oltre 100mila sviluppatori con molti dipendenti giovanissimi; ma non si ferma qua: dopo aver guadagnato i propri soldi decide di investire anche in altri progetti. Daniela Galvani: È l’autrice di un’idea, insieme ad Andrea Sesta e Roberta Barone: Impossible Living è un progetto online che si propone di mappare i luoghi disabitati in tutta Italia e non solo, ma anche nel resto del mondo cercando di ideare per ognuno di essi una comunità virtuale impegnata a dare le proprie idee per il recupero di questi edifici. Daniele Scivoli: è l’ideatore di I food Share, una piattaforma che ha come scopo quello di evitare gli sprechi alimentari e aiutare chi è in difficoltà dando la possibilità a utenti privati di donare e anche ricevere del cibo che altrimenti verrebbe buttato. Ciò che sta alla base è appunto il cercare di evitare l’eccedenza alimentare nelle case e porvi rimedio aiutando chi ha bisogno. Il progetto parte da uno studio della FAO del 2011 in cui veniva trattato il problema degli sprechi alimentari a livello mondiale. Grazie all’utilizzo del web, invece, si ha la possibilità di raggiungere più persone e in maniera veloce e più efficace. Monica Archibugi e Giulia Gazzelloni: Due giovani under 30 romane, co-fondatrici della piattaforma Le Cicogne la nota piattaforma per trovare babysitter. L’impresa è nata nel 2013 grazie all’idea di Monica stessa che faceva, come tanti, la babysitter come lavoro extra, proponendo in seguito il tutto alla sua socia. La piattaforma è user friendly, divisa in due parti: una è dedicata ai genitori e a tutte le loro richieste per trovare una babysitter secondo le loro esigenze e dall’altra le tate stesse che hanno la possibilità di scrivere le loro disponibilità e capacità. Questo è anche un modo per regolamentare un lavoro molto poco tutelato. Oggi la start up conta oltre 83 città italiane! Fonti:
www.wired.it www.italiacontributi.it www.economyup.it Nuova era nuovi manager12/29/2020 0 Comments
Continuiamo a pensare che il problema più grande che affligge i business sia il sistema organizzativo. E se invece il problema fosse il sistema di management che non riesce a mantenere il passo con quello che serve davvero alle aziende al giorno d’oggi?
Il management è sempre stato suddiviso seguendo le teorie di Henri Fayol: programmazione, organizzazione, comando, coordinamento e controllo. Queste sono però oggi gli ingranaggi che bloccano l’intera macchina organizzativa di un business. Infatti, queste suddivisioni risalgono all’inizi del ‘900 caratterizzato da un panorama industriale stabile, crescente, estremamente tecnico (vi dice niente la catena di montaggio?) Il panorama commerciale di oggi si basa sulla tecnologia, tra i settori più volatili (non per niente Warren Buffet si è sempre rifiutato di investire in imprese tecnologiche sapendo che neanche lui, il dio della finanza, avrebbe potuto prevedere il loro andamento futuro). E per questo motivo i manager di oggi devono dimenticarsi di Fayol e cambiare drasticamente tecnica:
Da restrittivo a espansivo: Il micromanagement non è più una soluzione efficiente. non si delega, si supervisiona e basta. Ma questo non permette ai collaboratori di crescere. C’è bisogno di incoraggiare tutti i lavoratori a sviluppare il loro modo di pensare e di agire dandogli responsabilità e permettendogli di prendere decisioni.
Da esclusivo a inclusivo: I manager troppo spesso sono convinti di poter prendere da soli tutte le decisioni, ma l’esperienza ci dice invece che i capi migliori e vincenti sono quelli che creano gruppi di focus con i propri collaboratori per raccogliere prospettive diverse riguardo problemi e trovare le soluzioni migliori (ACOM ha dedicato 1 capitolo al sistema organizzativo AGILE e se ti iscrivi puoi ricevere un aggiornamento accademico completo al riguardo).
Il team building è una metodologia educativa che ha visto la sua nascita dal pedagogo Kurt Hahn nel 1941, colui che fondò la prima scuola di formazione esperienziale nel Galles. Dalla ricerca di Elton Mayo degli anni ’20, venne mostrata una correlazione fra le attenzioni rivolte ai membri di una compagnia di telefonia da parte dei loro responsabili e la produttività che ne scaturiva. L’espressione significa, letteralmente, “costruzione della squadra” e sta a significare quell’insieme di attività che servono proprio a far interagire un gruppo di colleghi affinché migliori la loro capacità di lavorare in squadra. Queste possono consistere anche in formazione manageriale o aziendale, ma più in generale queste sono le più disparate e servono essenzialmente a lavorare sul miglioramento della comunicazione interpersonale e aiutare il buon funzionamento della squadra. Spesso le aziende se ne avvalgono nel momento in cui il proprio team si trova sotto condizioni di stress o non riesce a raggiungere adeguatamente un obiettivo fissato. Un team building più tradizionale è quello formativo finalizzato a rendere i partecipanti consapevoli, dopo un’attenta analisi aziendale dei bisogni e punti critici da risolvere, di dover porre in atto un cambiamento nel proprio modo di operare e agire. I miglioramenti ottenibili servono a incrementare:
Un'altra tipologia di building più dinamica è quella ludica con la quale viene organizzata una vera e propria esperienza in grado di rendere coeso e compatto il gruppo di colleghi, instillando in loro un senso di appartenenza. Questo tipo di formazione non è propriamente scolastica come si potrebbe immaginare ma tutt’altro: ha lo scopo di uscire fuori dalla routine aziendale e raggiungere il compimento di questi obiettivi in modo implicito. Fra le attività più comuni abbiamo avventure varie, attività culinarie, giochi di ruolo, corse in go-kart, messe in scena di uno spettacolo magari, rafting (ad esempio alle Cascate delle Marmore c’è tale possibilità), paintball o delle molto divertenti Escape Room che si trattano di un vero e proprio lavoro di squadra. Al termine dell’attività i membri del gruppo saranno in grado di riconoscere le capacità e i limiti di ognuno di loro, creando un maggiore senso di collaborazione e se sarà un successo, i colleghi saranno motivati a raggiungere ancora nuovi traguardi. Ovviamente tutte queste iniziative possono essere tanto outdoor quanto indoor. Una menzione va fatta anche per quanto riguarda la durata di queste iniziative: si parte generalmente da un qualcosa di una mezz’oretta ad un totale di un paio di giorni di attività. Generalmente, quando si tratta di più giorni, sicuramente c’è in ballo un’attività che esuli il contesto aziendale e che si svolga lontano da esso, qualcosa di particolare che non sia parte della quotidianità lavorativa. Infine, l’ultimo step da affrontare è quello del coordinamento dell’attività che non viene affidata al caso ma è presente la figura di un coach professionale in grado di tenere traccia dei progressi della squadra e di aiutarli a stimolare la loro creatività e il lavoro comune. In base all’attività può servire un professionista del settore nel quale si specializza l’evento deciso o semplicemente una persona che coordini e motivi il team. Alla fine di tutto il coach si occupa anche di valutare la riuscita dell’attività. Guardiamo alcuni esempi particolari: Fonti:
TERRITORI E PRODOTTI: le denominazioni di origine come fonte di cultura locale e fiducia nel consumatore12/1/2020 0 Comments Da sempre l’agricoltura e le tecniche in essa utilizzate, sono fonte vitale per i territori della nostra penisola. Ogni territorio italiano ha le sue caratteristiche, le sue peculiarità, le sue specializzazioni e tutto questo si riflette nella magnificenza dei suoi paesaggi, creati sul sapiente “sfruttamento” di esso, per scopi di sussistenza e che regalano, ad oggi, delle vedute caratteristiche volte a identificare e distinguere immediatamente un luogo da un altro; l’agricoltore, in questo contesto, si trasforma in una sorta di ‘custode’ di quel territorio e della sua biodiversità. I prodotti di questi territori non sono solamente il frutto di scambio e di economia locale, sono, invece, una forma di salvaguardia del territorio stesso, della cultura di un luogo e della civiltà che lo abita. L’Italia, grazie a questo forte legame tra il prodotto e il territorio di origine, possiede il più grande numero di prodotti agroalimentari e vinicoli IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOC (Denominazione di Origine Controllata) rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea. Il conferimento di queste denominazioni funge da stimolo per la ricerca sempre maggiore di prodotti a qualità elevata, combinandola con la salvaguardia del territorio dal quale provengono; Prodotti che si sviluppano e assorbono le pratiche applicate dagli agricoltori locali e che vanno, di conseguenza, a rimarcare ancor di più, questo legame indissolubile con il territorio d’origine. A seguito di un sondaggio riguardante una popolazione di circa 100 soggetti diversi sono i dati emersi, fondamentali per comprendere il modo in cui questi prodotti sono percepiti dal consumatore, le caratteristiche che discriminano la scelta del prodotto con denominazione di origine rispetto ad altri. È venuto alla luce un dato particolarmente curioso, riguardante l’interesse del pubblico nella conoscenza della storia e delle peculiarità dei prodotti. La popolazione di questo sondaggio ha un’età compresa principalmente tra i 18 e i 45 anni, e proviene nella maggior parte dei casi da regioni del Nord e Centro Italia. Nella quasi totalità dei casi, i soggetti hanno sentito nominare almeno una volta nella loro vita le denominazioni di origine (DOP – IGP) e, oltre il 90% dei soggetti, acquista regolarmente questo tipo di prodotti, rivolgendosi però principalmente al mercato agroalimentare (57%) piuttosto che quelli di produzione vinicola (35,5%) – il restante 7,5% non acquista prodotti IGP o DOP. Tra i fattori presi in considerazione, ad oggi, per l’acquisto di questo tipo di alimenti spicca in prima posizione la qualità del prodotto (41,9%), a seguire troviamo la voce riguardante la provenienza del prodotto (26,9%) e infine, in terza posizione abbiamo la “salute” (11,8%) che lo stesso trasmette. Il 95% dei soggetti coinvolti ripone molta fiducia nei prodotti con denominazione di origine, sicurezza e fede derivante principalmente dai numerosi controlli che questi devono superare, il monitoraggio delle filiere e la garanzia, per molti, della provenienza del prodotto stesso. Questo ultimo di “sentiment” risulta tanto più elevato quanto più il soggetto è proveniente dal territorio originario del prodotto prescelto. Ultimo dato emerso, molto interessante, risulta essere quello riguardante il piacere e l’interessamento nel conoscere il prodotto, il suo legame con la storia, con la cultura, le pratiche utilizzate e tutto quello che riguarda le caratteristiche intrinseche della merce in questione. È infatti pari al 71% il numero dei partecipanti che gradirebbe avere più conoscenza dei prodotti con denominazione di origine. Questi dati risultano particolarmente utili per lo sviluppo di questo genere di prodotti, in quanto, proprio la garanzia di provenienza degli stessi è fonte primaria della fiducia del consumatore. L’importanza di suddetti prodotti per l’economia locale è sempre maggiore, in quanto capace di far conoscere un territorio e la sua cultura, ma non solo, anche le pratiche utilizzate nella produzione. Prodotti fondamentali non solamente nel mercato interno, ma anche in quello europeo e globale, in grado di far espandere il settore del Food & Beverage italiano e volto alla diffusione della cultura italiana nel mondo.
Risultato che solamente un prodotto a marchio Made in Italy, sempre più forte globalmente, è capace di dare. Disruptive change - Tourism edition11/24/2020 0 Comments Non tradurremo disruptive di proposito, perché non rende bene in italiano quanto in inglese. Possiamo dire che si riferisce a qualcosa di “sensazionale e dirompente”. Il segreto dei brand che hanno successo oggi, sta nel fatto che non producono semplicemente cose nuove da proporre al mercato, queste compagnie investono nella ricerca dei veri bisogni, qualcosa che renda la vita dei clienti più semplice, più innovativa e più incredibile. Più andiamo avanti più il mercato è libero e sempre più compagnie nascono (o muoiono). La competizione non è mai stata così alta ed è sempre più difficile catturare e mantenere l’attenzione del proprio target. Le compagnie di oggi, per avere successo, devono per forza inventarsi qualcosa di estremamente innovativo per riuscire a esaltare sé stessi in un mercato affollatissimo. La differenziazione non è più una tattica per essere migliori dei nostri competitors, bensì una sfida: non è facile trovare la propria unicità. Le compagnie che hanno abbracciato strategie più sensazionali, e quindi disruptive, sono coloro che invece di aspettare il trend o le persone giuste, hanno in primis creato una comunità di followers che indirizza il resto del mondo verso la stessa via della compagnia stessa. Non serve alzare la voce, in un mercato affollato bisogna essere più creativi e passatemi in termine “strani” possibile. Le compagnie disruptive hanno cambiato il nostro stile di vita in un modo o nell’altro. Ecco qualche esempio di azienda che ha superato sé stessa in fatto di marketing e non solo:
Le aziende disruptive hanno il dono di captare i trend più in voga del momento e di un futuro prossimo usandoli a loro favore. Perciò ecco alcuni trends che con altissime probabilità guideranno il futuro dei viaggi: Personalizzazione delle esperienze: Sulle piattaforme social il nostro feed è personalizzato seguendo i gusti che un algoritmo ha estrapolato dalle nostre decisioni e azioni eseguite online. Amazon fa la stessa cosa con i suggerimenti che si basano sui trend dei nostri acquisti precedenti, d’ora in poi i viaggiatori si aspettano sempre più viaggi personalizzati appositamente per loro. Donne in viaggio: In America una ricerca ha mostrato come in media il viaggiatore avventuriero non sia un uomo, bensì una donna, di solito 47 anni. Il 75% dei viaggiatori alla ricerca di avventura, natura e viaggi simili sono donne tra i 20 e i 70 anni. Secondo l’Harvard Business Review le donne hanno un valore di $15 miliardi in potere di acquisto. Moltissime sono alla ricerca di solo travels. Secondo il Report di monitoraggio trimestrale che si occupa dei trend demografici e alle performance economiche delle start up, quest’ultime in Italia sono più di 10mila e in aumento; la Lombardia da sola ne ha viste nascere quasi il 27% con la sua Milano che ne ha più di 2000. Il Lazio e Roma, in particolare, supera le mille conquistando il suo bel 10,2% nazionale, in terza posizione abbiamo Napoli con uno stacco di numeri notevole (360). Ogni start up va collocata all’interno di un settore e la maggior parte di queste si inserisce all’interno dei servizi alle imprese, solo il 17,6% nel manufatturiero e una minuscola percentuale nel commercio. Queste iniziative possono essere definite innovative nel momento in cui soddisfino determinati requisiti:
LYNX è un monopattino elettrico con caratteristiche molto innovative: proprio per rispondere ai pain-points degli utenti coinvolti durante la fase di design, è stato progettato con un occhio di riguardo a:
Se, invece, vuoi dare un'occhiata al loro sito web basta cliccare qui. Fonti:
Ilsole24ore.com Corrierecomunicazioni.it Turismo e Agenda 203011/11/2020 0 Comments È giunta l’ora di riconoscere uno dei più grandi problemi che affligge il nostro tempo e la nostra società: l’inesistente sostenibilità del nostro essere. C’è chi lo dice già da tanto, chi ancora non ci crede e chi sta iniziando finalmente a informarsi. Ma c’è un motivo se L’ONU ci mette tanta pressione: la cooperazione di tutti è essenziale. Nel libro “pensare sostenibile una bella impresa” si racconta un episodio bellissimo: pensate che gli indiani Irochesi del Nord America erano pienamente consapevoli del loro impatto per le prossime sette generazioni e basavano la loro economia in funzione di questa programmazione. I Maori della Nuova Zelanda hanno sempre attuato lo stesso metodo: non sottraggono mai dalla natura più di quello che gli serve per sopravvivere. Perché nelle antiche tribù l’organizzazione era tale? Siamo noi che, detto nel modo più semplice e diretto possibile non abbiamo capito nulla? Più o meno. Ma la speranza è l’ultima a morire e per questo l’agenda 2030 dovrà essere parte integrante di qualsiasi organizzazione. BREVISSIMA STORIA DEL CONCETTO DI SOSTENIBILITA’ “la sostenibilità consiste in uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere o intaccare le generazioni future” Nel 1962 nasce la giornata della terra, e, anche se non per la prima volta, la questione climatica inizia a diffondersi e a crescere d’importanza. È un periodo storico particolare, segnato dai più grandi disastri ambientali mai accaduti. Nasce il WWF in Svizzera, e un decennio dopo Greenpeace in Canada (che all’epoca pensate era un peschereccio guidato da 3 persone intente a bloccare test nucleari americani). Sempre in quegli anni in Italia venne fondato il Club di Roma, un gruppo di scienziati e intellettuali che prontamente fiutarono gli enormi problemi che si sarebbero creati da li a poco. La prima conferenza delle UN si tenne nel 1972 a Stoccolma dove 113 capi di stato parlarono per la prima volta dei problemi ambientali. Quell’assemblea segnerà un lunghissimo percorso fatto di tante altre riunioni e trattati: Tokyo, Rio, Kyoto, Amsterdam e molte altre in cui il numero dei capi di stato partecipanti aumenterà sempre di più insieme agli obiettivi che verranno stabiliti da li ai giorni nostri. IL PREDECESSORE DELL’AGENDA 2030 Nel 1999 l’allora segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan annunciò la creazione del Global Compact: una serie di iniziative e obiettivi per direzionare l’intera leadership mondiale verso l’adozione di politiche sostenibili per la salvaguardia dell’ambiente e della popolazione mondiale. Il Global Compact racchiudeva 10 principi che vennero sottoscritti da 193 paesi membri impegnandosi a raggiungerli entro il 2015. Nel 2015 gli stessi 193 paesi si riunirono a New York per fare il punto della situazione e decisero di implementare nuovi obiettivi e di trasformare gli MDGs negli attuali 17 SDGs ovvero gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (sustainable development goals) L’agenda 2030 è forse la più importante e completa che si sia mai creata e sottoscritta fino ad ora: i 17 obiettivi sono interconnessi e indivisibili, ciò vuol dire che sono come una catena ed ogni anello ha bisogno del precedente e di quello dopo per funzionare e si influenzare a vicenda. Essi si basano su 3 pilastri fondamentali: > Crescita economica > Inclusione sociale > Tutela dell’ambiente TURISMO E AGENDA 2030 “ Il turismo è un pilastro essenziale dell’ Agenda 2030. Da esso dipende la sussistenza di molti, specialmente donne e in particolare nei Paesi più vulnerabili del mondo. Inoltre, la tutela della biodiversità si fonda in modo determinante sul settore del turismo, dalla conservazione al reddito generato da questi sforzi” Queste sono le parole di Antonio Guterres, attuale segretario delle ONU. Il turismo infatti è tra i settori più incisivi per il raggiungimento dei target dell’agenda 2030. Il settore viene menzionato in più obiettivi:
È sicuramente cruciale il sostegno nel settore da parte dei governi dei singoli paesi, ma è altrettanto fondamentale un cambio di mentalità da parte di operatori turistici e visitatori stessi. Perciò, che voi apparteniate alla prima categoria, alla seconda o a tutt’altra, siate ben consapevoli che come singolo individuo avete un impatto molto più grande di quello che possiate immaginare. Se sogniamo un mondo migliore dobbiamo cooperare e influenzarci a vicenda, proprio come fanno questi 17 obiettivi. Fonti:
Il concetto di Growth Hacking nasce nel 2010 grazie a Sean Ellis che lo ha applicato, con successo, ad alcune start-up. Il Growth Hacking è un modello innovativo di gestione e sviluppo di un business, al fine di creare un vantaggio competitivo indispensabile per farsi strada fra i concorrenti. Esso rappresenta un nuovo mindset costituito da un processo di sperimentazione continua, grazie al quale si ottiene una crescita rapida delle performance del business. Si lavora così focalizzandosi sull’uso strategico del marketing digitale, sullo sviluppo del prodotto, sul business, sul team e sull’analisi dei dati. Il primo ad occuparsi a 360 gradi del Growth Hacking in Italia è stato Raffaele Gaito: consulente e Growth Coach, autore di numerose pubblicazioni di riferimento e organizzatore della più grande conferenza d’Europa sul tema. Pronti a leggere l’intervista che Raffaele Gaito ha rilasciato ad ACOM?
Un cliente che reclama è un cliente che ci dà una seconda possibilità nonostante non abbiamo risposto nel modo corretto alle sue aspettative, è qualcuno che ci dà ancora fiducia e tutto ciò non è da sottovalutare. Soltanto il 4% dei clienti insoddisfatti racconta la sua esperienza mentre il resto smette semplicemente di essere nostro cliente e noi non avremo avuto nessuna occasione per tenerlo ancora dalla nostra parte; ecco perché è importante, paradossalmente, anche incoraggiare i reclami perché tutto poi si traduce in un passaparola che consisterà nel comunicare il proprio malcontento ad altre persone, che a loro volta potrebbero comunicarlo ad altri ancora e così via, fino ad innescare una reazione a catena che andrebbe a danneggiare la brand reputation. Un cliente insoddisfatto è in grado di influenzare l’opinione di parenti e amici, oltre che di tutti coloro che leggeranno il suo reclamo ed egli non sarà più interessato alla vostra offerta. Tante volte però i clienti non reclamano perché non sanno con chi farlo o dove, non sono sempre a conoscenza delle procedure da seguire, magari perché l’azienda stessa non ha ben curato una piattaforma dedicata alla gestione dei feedback negativi.
Non avendo questo punto di vista, le aziende spesso e volentieri non rispondono neanche alle segnalazioni ricevute o non vengono accolte di buon grado. Bisogna, invece, tenere a mente che un reclamo non è un attacco personale diretto all’azienda ma quanto più un momento di sfogo di un cliente che non si è visto soddisfare le sue aspettative, per questo è importante fargli sapere che l’azienda c’è, che è disponibile e pronta a risolvere il problema. Il tutto deve tramutarsi anche nel modo e nel tono in cui ci si pone nei riguardi del cliente, soprattutto nelle risposte pubbliche quanto quelle in privato. Leggere risposte stizzite come clienti, porta chi legge a farsi una non buonissima opinione della reputazione dell’azienda stessa. Cortesia e predisposizione all’ascolto sono la base mentre indispensabile è anche la velocità di risposta, per limitare il più possibile i danni finché si è in tempo e mantenere un atteggiamento orientato alla soluzione. L’azione fondamentale e necessaria è quella di far sì che le aziende si focalizzino sempre di più sui feedback, che sono ciò a cui bisogna stare attenti per aumentare e mantenere la fiducia del cliente. Bisogna sempre ricordarsi che non sono le esperienze positive quelle che rimangono più impresse nella mente di un cliente ma soprattutto quelle negative che, quando condivise tramite word of mouth, possono radicarsi nell’immagine aziendale e instillare un dubbio o un ripensamento di acquisto da parte di un potenziale cliente.
Quindi il passo successivo allo studio di strategie mirate è quello di tenere sempre sotto controllo il sistema di gestione e capire come ottimizzare sempre di più le procedure. Le informazioni ottenute spesso e volentieri servono come punto di partenza per azioni future, contribuendo al miglioramento del servizio offerto all’utente finale. Ricapitolando, i passi fondamentali su cui lavorare per la gestione di un feedback negativo sono:
Fonti:
Qualitiamo.com Ionos.it Sharingtourism.it |
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April 2022
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