Questi tempi sono caratterizzati da un’enorme trasformazione economica, dall’era industriale direttamente alla società dell’informazione. La tecnologia è diventata parte integrante della nostra quotidianità, aumentando la velocità di cambiamento, di sviluppo, di aggiornamento. Questo cambiamento si è visto soprattutto nell’organizzazione aziendale, la nascita di nuove professioni, nuovi approcci e strategie. L’organizzazione del lavoro si è sempre basata sul modello Taylorista il quale fonda la produzione con un unico fine: l’incremento costante della produttività. Il parametro più importante è il tempo di produzione, non contano le competenze dei lavoratori bensì le performance legate alla quantità prodotta. La massima efficienza è ottenuta dalla standardizzazione della produzione e l’organizzazione è fortemente verticalizzata e centralizzata. Ma il mercato è in continuo cambiamento e a sua volta lo sono i clienti, i loro bisogni e la società in generale. Si inizierà infatti a dare più spazio alla qualità, nascono nuove tecnologie dando il via all’era post-industriale. Dall’inizio degli anni 2000 inizia a cambiare l’approccio organizzativo il quale si deve adattare ad una società in continuo mutamento e sempre più tecnologica. Lentamente si transita verso un’organizzazione più orizzontale, elastica, personalizzata e agile. Le aziende caratterizzate da un’organizzazione più decentralizzata, quindi orizzontale, danno importanza al concetto di network tra collaboratori per creare team che possano vantare conoscenze il più trasversali possibili, perciò ampie. Il capitale umano oggi è importante più che mai, lo sono le sue hard skills (le specializzazioni e conoscenze che uno possiede in determinati ambiti) ma lo sono ancor di più le sue soft skills (le sue capacità sociali e multidisciplinari). Questo nuovo modo organizzativo più elastico e agile permette di gestire il mercato complesso di oggi, dove il manager non impartisce ordini e i dipendenti come robot eseguono, bensì il manager diventa il coordinatore del team con il quale insieme raggiungerà gli obiettivi aziendali. Questa mutazione organizzativa spinge le imprese a ricercare modelli lavorativi diversi, dove competenze mirate non sono più valorizzate tanto quanto un tempo: oggi serve trasversalità per poter capire e gestire i cambiamenti del mercato e per fare ciò si inizia finalmente a valorizzare nuovi modelli relazionali e abilità sociali ovvero le famose soft skills: intelligenza emotiva, comunicazione, problem solving, adattabilità, gestione del tempo, teamwork, mentoring sono solo alcune di queste. Secondo il World Economic Forum (2018) le aziende che dureranno nel tempo saranno quelle che investiranno nella trasformazione digitale e nella formazione dei propri collaboratori. I candidati di oggi per avere successo hanno un nome ben specifico e si chiamano “T-shaped people”. Chi si può definire T-shaped? Sono persone in grado di combinare esperienze di business con capacità tecnologiche digitali e molteplici interessi. Un T-shaped ha una combinazione di capacità diverse, sono persone curiose riguardo il mondo che le circondano e volenterose nel provare a fare tutto, hanno una capacità principale che descrive la linea verticale della T , e conoscenze multi settoriali (date da interessi personali o una continua istruzione: life long learning) che costituiscono la linea orizzontale della T. Sono così empatici da poter abbracciare altre conoscenze e unirle alla conoscenza primaria, così facendo esercitano molteplici prospettive allo stesso momento esercitano comportamenti e azioni che vanno verso i bisogni umani universali. Le persone T-shaped possono adattarsi molto più velocemente ai cambi di ruolo soprattutto nel lavoro e sono grandi comunicatori e lavoratori di squadra. Per molti anni la IBM ha sottolineato l'importanza e il bisogno di più professionisti T shaped, perché sono molto più collaborativi, innovativi, si adattano più facilmente al cambiamento, sono risolutori di problemi e hanno soprattutto delle competenze comunicative che si estendono in molte aree diverse. I talenti digitali di oggi sono ancora isolati in funzioni e discipline che erano designate per incontrare i bisogni dell’era precedente, soprattutto accademicamente parlando. La stessa cosa accade per quanto riguarda incentivi e premi. Anche le università incoraggiano ad approfondire sempre più le stesse aree di specializzazione anziché ampliare le loro conoscenze tramite connessioni e networking con colleghi di diversi campi, errando nel mantenere una direzione relativamente “old-school”. In tutti i settori il nuovo millennio digitale ha bisogno e richiede nuovi tipi di professionisti e nuovi approcci lavorativi. Per aiutare le persone ad essere all’altezza di questi nuovo e dinamico ambiente fatto di rapidi cambiamenti e sistemi Smart, l’educazione dovrebbe incoraggiare lo sviluppo delle T-Skills sia per i professionisti digitali che per futuri lavoratori, i quali dovranno essere innovatori preparati per il futuro che richiede necessariamente specializzazione e flessibilità allo stesso tempo. I collaboratori di ACOM (docenti e studenti universitari) hanno dedicato una ricerca accademica riguardante le nuove competenze per il mondo del lavoro nell’era digitale, la formazione permanente dei professionisti, i manager del futuro e le soft skills del cambiamento. Il tutto è suddiviso in tre capitoli:
Riceverai inoltre molti altri approfondimenti come il report sulla tecnologia Blockchain e le sue applicazioni nel business e il prossimo elaborato riguardante le professioni del futuro con focus specifico nella professione del Social Media manager.
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Molti di voi ricorderanno come a dicembre, appena uscita la notizia del cashback di stato (il piano introdotto dal governo per incentivare e premiare chi usa carte e app per pagare nei negozi fisici tramite un rimborso del 10%) la corsa al download dell’ultima applicazione ha dato il via ad una serie di pagamenti ad applicazioni sbagliate. Infatti, molti italiani nella fretta della novità hanno scaricato (a pagamento) app che non c’entravano nulla con quella originale e gratuita creata da PAGOPA, ovvero lo stato italiano. Tantissimi utenti spinti dalla cosiddetta FOMO hanno pagato applicazioni che non servivano altro che a calcolare il 10% su cifre a caso come farebbe una semplice calcolatrice. Questo fenomeno si chiama FOMO, Fear of Missing Out, che in italiano si può più o meno tradurre come la paura di essere tagliato fuori, una specie di ansia sociale che arriva quando si ha paura di perdersi qualsiasi cosa, da un evento ad un’esperienza. Il motivo per cui la gente fa ore di fila per un biglietto per la promo di un film? FOMO. Perché gli acquisti sono sempre più standardizzati? FOMO. Questo fenomeno è diventato più evidente con l’utilizzo sempre più maggiore degli smartphone e ovviamente dei social network. Non è sicuramente una novità o una nuova tendenza creata da questi ultimi, ma tramite le vetrine social che ci spingono a confrontarci senza pause con le vite degli altri improvvisamente la nostra vita non è soddisfacente e abbiamo paura di star perdendo qualcosa. Secondo un sondaggio della University of Essex, la FOMO si verifica soprattutto in individui che si reputano meno autonomi o competenti e quindi sentono il bisogno di sentirsi sempre collegati ad altre persone nella vita quotidiana, spendendo moltissimo tempo online e conseguentemente lasciandosi influenzare. Cosa c’entra tutto ciò con il marketing? La FOMO non è nuova ed esiste da quando la pubblicità è nata. Ma nel marketing online questo fenomeno viene soprattutto usato per incrementare le vendite dei prodotti, spingendo la gente nella paura di perdersi l’occasione della vita attraverso trick psicologici come il countdown delle offerte sia di prezzo che di disponibilità di prodotti. La scarsità, infatti, viene vista come un valore perché significa che poche persone potranno usufruire di quel bene ed è considerato ciò che più fomenta la FOMO. I marketers lo sanno bene e giocano Altro esempio: Elon Musk fonda un nuovo social network no profit e non quota in borsa, ancora. Sempre Musk fa un tweet che invita gli utenti a scaricare e usare la sua nuova “Signal”. Grazie ad un solo post dell’imprenditore più famoso del mondo per far schizzare il titolo di Signal al 438% portando le quotazioni da 60 centesimi a 70$ l’una. Peccato che la FOMO ha portato gli investitori a comprare le azioni dell’azienda sbagliata: Signal Advance Healthcare non è sicuramente la compagnia social appena fondata da Musk, ma grazie a lui ora vale 3 miliardi di dollari. Lo stesso black Friday fa leva sulla FOMO, trasmettendo l’urgenza di approfittare degli sconti di quel particolare giorno con la paura che prezzi così non ci saranno più (pur non essendo vero), l’ansia porta il compratore all’acquisto compulsivo di cose di cui in realtà non necessita. Per non parlare dei materassi che vantano gli ultimi giorni di super sconto da… 10 anni ormai? Il social media marketing fa molta leva su questo, ed è volontariamente o meno, la psicologia su cui tutte le piattaforme si basano. Attraverso youtube, instagram o facebook gli influencer offrono contenuti e valore ai brand in modo (apparentemente) genuino e coinvolgente facendo sorgere soprattutto tra i più giovani un senso di addiction. Un youtuber o un influencer particolarmente famoso su instragram hanno una community affiatata che non aspetta altro che novità da parte di questi ultimi. E i social network alimentano la FOMO apposta con notifiche o e-mail e tutto ciò ovviamente per i brand è una combinazione vincente. Uno studio effettuato sui millennials canadesi mostra come il 68% di essi ha effettuato un acquisto entro le 24 ore a causa della FOMO data da un altro contatto. La FOMO perciò può essere usata a proprio vantaggio, senza dimenticarci però che noi siamo i primi a cadere in tentazione. Fonti:
https://www.ionos.it/digitalguide/online-marketing/social-media/fomo-fear-of-missing-out/ https://www.ninjamarketing.it/2016/08/05/la-fomo-social-media-marketing/ https://www.html.it/11/10/2019/social-network-la-fomo-guida-gli-acquisti/ https://www.quindo.it/fomo/ https://blog.tagliaerbe.com/fomo-fear-of-missing-out Dopo aver parlato di start up tutte italiane nel precedente articolo, è arrivato il momento di concentrarci invece su alcuni esempi di donne imprenditrici in Italia e nel mondo. L’imprenditoria femminile è sicuramente ancora tutta da potenziare e incentivare, si trova in una condizione di minoranza nel mondo e ancora meno in Italia (soprattutto nell’imprenditoria in cui si registrano soltanto circa 1 donna su 5) CANVA: Partiamo subito con una start up molto famosa fondata da Melanie Perkins e che vale più di un miliardo di dollari. Nel 2007, la Perkins si trova in Australia ad insegnare ai suoi studenti come utilizzare programmi come Photoshop ma trovandoli molto difficili da usare per loro, le venne in mente un’idea: uno strumento online per creare, inizialmente, annuari scolastici che piano piano si è espanso al di fuori dell’Australia insieme al contributo del co-fondatore Cliff Obrech. Oggi tutti hanno la possibilità di realizzare prodotti di grafica non troppo complicati. MADAME MIRANDA: Piattaforma di servizi hair&beauty on demand fondata da Diamante Rossetti e Gioia Fiorani. La start up provvede all’esigenza di potersi prendere cura di sé stessi con trattamenti al corpo, viso, per i capelli e quant’altro con il vantaggio di essere sempre disponibili su richiesta ogni giorno ad ogni orario possibile fino alle 22 (andando così a sorpassare il problema che accomuna molti: non avere tempo negli orari prestabiliti dei vari saloni perché impegnati con il lavoro o altro). RISPARMIO SUPER: è Barbara Labate, siciliana, la co-fondatrice e CEO di Risparmiosuper.it, un sito e anche app che permette di confrontare i prezzi dei prodotti prima di andare a fare la spesa per riuscire a capire dove si possono trovare offerte migliori. Anche le aziende ne traggono profitto perché grazie all’app è possibile confrontare i propri prezzi con quelli dei concorrenti. Il tutto è nato da un’idea che le venne in mente proprio quando, da studentessa fuorisede, come molti lo sono stati, aveva il problema di risparmiare sulla spesa al supermercato, grazie alla validità del suo progetto vinse anche dei finanziamenti che la aiutarono a mandare avanti la sua idea. ORANGE FIBER: Impresa nata dall’idea di Adriana Santanocito, studentessa di Fashion e Design che iniziò ad interrogarsi su una possibile soluzione agli scarti industriali agrumicoli in una società che sempre più doveva volgere a cambiamenti sostenibili. Riuscì così con le sue idee e i suoi progetti a creare un filato innovativo partendo proprio dagli agrumi, depositando così in seguito un brevetto. Il tutto si concretizzò per bene nel 2015. Come è ben chiaro, questo progetto oltre ad essere innovativo è anche utile in maniera concreta e sostenibile all’ambiente grazie alla realizzazione di questi capi di vestiario in pratica biodegradabili, aiutando a smaltire anche le emissioni di Co2. YAMGU – You are my guide: Nata grazie a Ester Liquori da sempre un’amante dei viaggi; si tratta di una start up tutta italiana del turismo e più in particolare del social travelling. Essa è basata sull’intelligenza artificiale, nata nel 2014 ha lo scopo di dare all’utente la possibilità di programmare il proprio itinerario step per step e rimanendo, allo stesso tempo, aggiornato in tempo reale sulle condizioni meteo, gli eventi e le novità in corso nella destinazione prescelta sfruttando i dati presenti online riguardanti la città. DRESS YOU CAN: Start up nata dall’idea di Caterina Maestro Cottini nel 2014 sottoforma di esperimento di dress sharing che consiste principalmente nel noleggio di abiti, accessori e scarpe, all’insegna anche di un’economia sostenibile. Così ognuno almeno per una sera potrà concedersi ad un costo contenuto un abito, un accessorio particolare normalmente non accessibile a tutti e al tempo stesso monetizzare grazie al proprio guardaroba in affitto. BRANDON: Impresa fondata da Paola Marzario, è un distributore per i siti online e il suo primo fornitore è stato proprio la Moleskine nel 2012. La loro piattaforma ha come obiettivo quello di incentivare le vendite in base anche a dove c’è maggior traffico così l’utente finisce per trovarsi un intero catalogo dettagliato delle merci in varie lingue e un’altra serie di servizi annessi e ben curati. Brandon è ad oggi un distributore online che si specializza nel settore fashion e home&living. Questi sono solo alcuni degli innumerevoli esempi di imprese tutte al femminile che hanno anche riscosso un considerevole successo. Purtroppo, i numeri in Italia e nel mondo di imprenditrici non sono ancora quelli sperati e auspicati, ma sappiamo che i progetti e le capacità invece sono innumerevoli Fonti:
www.startup.info.it www.ilpost.it www.startupbusiness.it www.vivipositivo.com In un mondo, quello di oggi, pieno di iniziative, progetti e molto altro risulta utile far emergere anche le idee di tanti giovani che si sono cimentati in un progetto portandolo a termine con successo. L’Italia ha ancora bisogno di far crescere di più il numero dei suoi startupper ma vi si sta lavorando in qualche modo tramite fondi e finanziamenti anche a tasso zero per quei giovani che vogliono avviare una loro impresa (ma anche per chi una sua l’ha già avviata!) Ad esempio, si vuole aumentare il numero dei beneficiari di questo anche alle imprese che sono in campo da non più di 5 anni; aumentare la durata del mutuo dagli 8 ai 10 anni; nei punti aggiornati a marzo 2020 c’è anche la riduzione della quota di capitale proprio dal 25% a soltanto il 10%. Perché non diamo un’occhiata a qualche giovane imprenditore? Vediamo di quanti di questi avete già sentito parlare: (Altrimenti è l’occasione buona per conoscerli!) Valerio Masotti: è un giovane noto per aver già vinto diversi concorsi che consistevano nella realizzazione di video e spot promozionali, anni prima. Poi, nel 2008, diventa il co-fondatore di Slevin (insieme ad Andrea Masotti), una Creative Company nata a Roma nel 2011, di cui oggi è tutt’ora il presidente. Essa si occupa di Web, Graphic, Video, motion graphic, social media e tanto altro, fra cui numerosi progetti in ambito food&beverage. Francesca Bosco: Donna laureata in giurisprudenza, è stata da sempre appassionata di diritto internazionale. Al giorno d’oggi, è una delle autorità principali per quanto riguarda l’internet e la criminalità. Il suo grande impegno e duro lavoro l’hanno portata anche al World Economic Forum di Ginevra dove attualmente si occupa di cyber-resilienza. Il suo team è totalmente femminile, esperte provenienti da tutte le parti del mondo. Domenico Colucci: È un giovane startupper pugliese under 30, fondatore di Nextome (un’app per la navigazione indoor ) che è stato premiato addirittura ad Helsinki durante gli Europioneers nel 2015 come miglior imprenditore web dell’anno. La piattaforma, creata nel 2013 insieme ad un gruppo di under 30, riscosse molto successo e fu pensata per l’appunto per permettere alle persone di orientarsi meglio all’interno di spazi chiusi nei quali, si sa, il GPS non funziona per niente. Con essa invece è possibile visualizzare la propria posizione su una specie di mappa digitale che ti dà indicazioni precise su tutto ciò che c’è nelle tue vicinanze (ovviamente al chiuso!) Giulia Detomati: Fondatrice dell’associazione no-profit 20Sostenibili che si prefigge come scopo la realizzazione in campo ambientale di progetti con una attenzione speciale all’innovazione sociale e comunicativa. La Start-up insieme a enti pubblici, realizza anche studi di fattibilità per ideare qualcosa che vada a tutelare le aree libere o a rischio di edificazione. Augusto Marietti: è il co-creatore di Mashape insieme a Marco Palladino: un marketplace dove gli sviluppatori vendono “pezzi” di software, anche un mix di tool. Ad oggi, la piattaforma conta oltre 100mila sviluppatori con molti dipendenti giovanissimi; ma non si ferma qua: dopo aver guadagnato i propri soldi decide di investire anche in altri progetti. Daniela Galvani: È l’autrice di un’idea, insieme ad Andrea Sesta e Roberta Barone: Impossible Living è un progetto online che si propone di mappare i luoghi disabitati in tutta Italia e non solo, ma anche nel resto del mondo cercando di ideare per ognuno di essi una comunità virtuale impegnata a dare le proprie idee per il recupero di questi edifici. Daniele Scivoli: è l’ideatore di I food Share, una piattaforma che ha come scopo quello di evitare gli sprechi alimentari e aiutare chi è in difficoltà dando la possibilità a utenti privati di donare e anche ricevere del cibo che altrimenti verrebbe buttato. Ciò che sta alla base è appunto il cercare di evitare l’eccedenza alimentare nelle case e porvi rimedio aiutando chi ha bisogno. Il progetto parte da uno studio della FAO del 2011 in cui veniva trattato il problema degli sprechi alimentari a livello mondiale. Grazie all’utilizzo del web, invece, si ha la possibilità di raggiungere più persone e in maniera veloce e più efficace. Monica Archibugi e Giulia Gazzelloni: Due giovani under 30 romane, co-fondatrici della piattaforma Le Cicogne la nota piattaforma per trovare babysitter. L’impresa è nata nel 2013 grazie all’idea di Monica stessa che faceva, come tanti, la babysitter come lavoro extra, proponendo in seguito il tutto alla sua socia. La piattaforma è user friendly, divisa in due parti: una è dedicata ai genitori e a tutte le loro richieste per trovare una babysitter secondo le loro esigenze e dall’altra le tate stesse che hanno la possibilità di scrivere le loro disponibilità e capacità. Questo è anche un modo per regolamentare un lavoro molto poco tutelato. Oggi la start up conta oltre 83 città italiane! Fonti:
www.wired.it www.italiacontributi.it www.economyup.it |
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April 2022
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