Nel corso degli ultimi anni, sempre di più si parla di storytelling. Lo storytelling è uno strumento fondamentale oggigiorno per lo sviluppo del settore turistico nonché elemento influente per quanto riguarda i fattori decisionali del consumatore finale. Sempre di più, infatti, imprese e organizzazioni utilizzano il “content marketing” per la promozione dei prodotti da loro offerti, siano essi beni primari o servizi al consumatore. Lo storytelling è, pertanto, un modo efficace per raccontarsi e raccontare i propri valori e i propri prodotti. Inizialmente, prima dell’avvento dei social media, lo storytelling si presentava come una vera e propria narrazione scritta. Con l’avvento dei social media esso si è trasformato in visual-storytelling andando a far leva su un ulteriore elemento fondamentale per la creazione di awareness ed engagement: le emozioni. I nuovi metodi di comunicazione sono passati da meramente descrittivi a fortemente empatici e persuasivi, capaci di “far crescere” il desiderio del prodotto al consumatore. Per massimizzarne l’efficacia esistono però delle regole ben precise per la realizzazione dei visual-storytelling. Le tre parole che andranno tenute a mente sono tre: REALTA’, INTERAZIONE ed IDENTITA’. La realtà del tuo visual-storytelling sta nella realtà della vita dei tuoi consumatori. Uno strumento che in questo contesto potrebbe essere utilizzato è proprio l’esperienza di vita reale, vissuta. Questo tipo di argomento è infatti capace di aumentare la velocità del processo di identificazione del consumatore. Una cosa da non dimenticare è proprio il tuo target: rispetta i codici e i valori dei tuoi consumatori e sarai così capace di parlare sia alla comunità per intero ma anche al singolo soggetto. Un altro fattore fondamentale è l’interazione. Il tuo consumatore non si dovrà mai sentire meramente manipolato. Rendilo partecipe, interagisci con esso e crea sempre nuovi contenuti in grado di tenere alta l’attenzione verso il tuo brand. In ultima battuta, invece, troviamo l’identità. Essa risulta essere un elemento fondamentale per la creazione di awareness nel brand rappresentato. La parola da tenere sempre in mente quando si parla di identità è coerenza. Per non discostarti mai troppo dalla tua vision struttura il tuo visual storytelling attraverso la narrazione classica: il famoso filo narrativo (una situazione attuale, un elemento scatenante, avventure ed elementi risolutivi, ed una fina). Fonti:
it.semrush.com
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I titolari delle attività commerciali sono ormai all’esasperazione a causa delle restrizioni adottate dal governo per contrastare il Covid e che impongono loro di chiudere le porte dei locali e per i ristoratori che possono permetterselo, di offrire solamente servizio di asporto. Molti ristoratori hanno deciso di tentare di tutelarsi aderendo a neonate associazioni di categoria, come M.I.O. Italia, Movimento Io Apro, La Rete delle Partite Iva, Apit Italia, Pin, Associazione Fieristi Italiana e Lo Sport è Salute. Il loro intento, a prescindere dal colore della regione, è quello di rimanere aperti sia a pranzo che a cena. La protesta ha preso piede con una manifestazione a piazza Montecitorio il 6 aprile 2021, generando non poche opinioni contrastanti, visti i molti insulti rivolti al ministro Speranza e al presidente Draghi e i momenti di tensione con la polizia. Tra i manifestanti anche molte persone senza mascherina ed esponenti di Casa Pound, estrema destra e negazionisti del Covid, dai quali gli esercenti vogliono distaccarsi per dissociarsi da ogni forma di violenza. Quello che domandano i ristoratori è di incentivare le risorse per le strutture ospedaliere e sanitarie, protocolli e cure a domicilio, e focalizzarsi sul contenimento dei contagi che hanno luogo sui mezzi pubblici senza però impattare l’esercizio dell’attività della ristorazione. Desiderano che venga rimosso il coprifuoco nazionale, che venga eliminata la suddivisione per colori delle regioni, e la riapertura senza limitazioni di tutte le attività commerciali. In circa una quindicina a Bologna hanno tentato di aprire a pranzo il 7 aprile, con l’intenzione di affidare la contestazione di eventuali multe ai rispettivi legali. Le ragioni della protesta I fondi del decreto ristori vengono considerati una “miseria” da chi ormai ha chiuso le porte del proprio locale da mesi, ma soprattutto si ritiene che l’inizio dell’erogazione degli stessi finanziamenti avvenga in ritardo. Viene colpevolizzato il ministro Speranza per la gestione dei vaccini, poiché gli esercenti devono attendere una riapertura in funzione dei vaccini quando questi non arrivano o vengono fatti con priorità discutibili, ostacolando la ripresa. I ristoratori preferiscono chiudere quando l’asporto combinato alla consegna a domicilio non sono sufficienti almeno a bilanciare entrate ed uscite. E chi ha bisogno di quei soldi per andare avanti e sostenere la propria famiglia potrebbe incorrere nella necessità di rivolgersi a usurai. COSA CHIEDONO GLI ESERCENTI Paolo Bianchini, leader del movimento M.I.O. Italia, si rivolge al governo Draghi e al MEF richiedendo il blocco degli sfratti, aiuti concreti sia ai ristoratori che ai proprietari delle mura, che non stanno ricevendo gli affitti perché non si dispone della liquidità per il pagamento. Viene richiesta anche una revisione sulla gestione dei costi fissi, il blocco delle licenze e la sospensione della Bersani-Visco per tre anni. Questo per evitare che all’improvviso arrivi una multinazionale, un ristorante cinese, o peggio la malavita organizzata che dispone delle liquidità necessarie. Avendo perso circa il 60% del fatturato, i ristoratori hanno necessità per i prossimi 3 anni di recuperare stabilità. Bloccare le licenze significa dare la possibilità, a chi sopravvivrà a questo periodo tremendo, di poter ridare valore alla propria azienda. COSA RISCHIANO I RISTORATORI E I CLIENTI I ristoranti vogliono sottolineare che la riapertura viene effettuata seguendo tutti i protocolli di sicurezza e anti-contagio. In Piemonte, ad esempio, solamente clienti abituali e dipendenti di aziende hanno rischiato la contravvenzione per poter usufruire del servizio di ristorazione in zona rossa. Va sottolineato che i titolari delle attività non rischiano la chiusura indeterminata del locale in quanto la sanzione accessoria più grave è la sospensione dell’esercizio per 30 giorni. Chi decide di consumare all’interno del locale rischia una sanzione amministrativa che va da 400 a 3.000 euro. Questa è aumentata fino ad un terzo se commessa mediante l'utilizzo di un veicolo. Vi è la possibilità di pagare in misura ridotta entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione della sanzione pecuniaria nell’ammontare minimo di 400 euro oppure, se il pagamento avviene entro 5 giorni, con la riduzione del 30% del minimo, quindi con 280 euro. Le pressioni da parte della polizia locale non mancano, per questo motivo chi ha cercato di aprire in segno di protesta si è ritrovato costretto a pregare i pochi clienti “coraggiosi” di consumare da asporto. Il movimento IoApro è nuovamente tornato in piazza Montecitorio lunedì 12 aprile, nel tentativo di ricevere risposte alle loro domande, questa volta però senza autorizzazione del sit-in da parte della questura in quanto la piazza era già stata concessa ad un’altra manifestazione nella stessa fascia oraria. Nonostante ciò, è stato inoltrato e diffuso l’invito di partecipazione attraverso i social network, affermando che la manifestazione fosse stata invece autorizzata. Molti pullman diretti alla manifestazione sono stati fermati a Roma Nord. In maniera più velata i ristoratori di “Roma più bella” si sono uniti a “Italian Hospitality Network” la mattina sventolando bandiere bianche, in alternativa alla manifestazione pomeridiana. Intanto in Campania si intravedono i primi spiragli di ripresa in vista della zona arancione, in quanto vengono promesse riaperture delle attività commerciali e dei ristoranti, anche a cena, se sarà possibile contenere gli assembramenti grazie a uno sforzo maggiore delle forze dell’ordine. È passato un anno dall’inizio della pandemia, numerose sono state le proposte fatte nel settore turistico per far rendere i viaggi sicuri e far ripartire il settore. Da qualche tempo si parla specificamente di una proposta: il cosiddetto “passaporto verde”. L’obiettivo primario del passaporto verde è quello di rendere più libero il movimento all’interno dell’Unione Europea, rendendo più sicuri viaggi e spostamenti tra i paesi. Iniziativa altamente sostenuta soprattutto dalle compagnie aeree, turistiche e da quei paesi dove il settore Leisure prevale economicamente. L’Europa ha annunciato che la proposta diventerà presto vincolante tramite proposta legislativa, sarà valido solo per spostamenti all’interno dell’unione e comprenderà non solo i vaccinati ma anche coloro che presenteranno un tampone Covid negativo. Anche il Regno Unito sta considerando l’idea di acquisire un certificato di vaccinazione per aiutare le imprese turistiche a riaprire il più velocemente possibile. Il passaporto vaccinale da una parte potrebbe essere visto come uno strumento per la sicurezza dei viaggiatori e allo stesso tempo un modo per riavviare il settore, ma si scontra con pareri contrari i quali lo considerano “discriminatorio”, vediamo qualche argomento a favore e contro: PRO Il passaporto vaccinale è considerato un incentivo e potrebbe rappresentare una motivazione per indurre più persone a vaccinarsi. Tuttavia, David Archard, presidente del Nuffield Council on Bioethics, sostiene che non è necessariamente un modo equo per ottenere più accettazione nei confronti dei vaccini, la quale potrebbe essere meglio garantita fornendo informazioni più ampie e accurate alle persone. L’ottenimento di un certificato di vaccinazione potrebbe rappresentare per alcuni individui che sono stati privati dell'accesso a determinate opportunità di lavoro dalla pandemia. "E questo è importante", dice Archard. "Dopo tutto quello che abbiamo affrontato nell'ultimo anno sono notevoli le restrizioni alle libertà della popolazione, e qui c'è un modo in cui gli individui potrebbero ora essere in grado di recuperare quelle libertà fondamentali che mancano un po’ a tutti." I passaporti potrebbero anche offrire valore in termini di viaggi internazionali. Essere vaccinati significa che la probabilità di aver bisogno di richiedere il ricovero all'estero sia davvero limitata. Paul Hunter, professore di medicina all'Università dell'Inghilterra Orientale, dice che se gli ospedali di un paese sono già alle prese con alti livelli di Covid-19, la popolazione che si mette in viaggio rischia di appesantire ancora di più il sistema sanitario di un dato paese. CONTRO Mentre i vaccini impiegati hanno dimostrato di avere un'efficacia impressionante nel ridurre il rischio di ospedalizzazione e morte per Covid-19 sintomatico, non ci sono però ancora prove concrete che possano contrastare la trasmissione, alcuni scienziati sostengono che assumere semplicemente di non poter essere un veicolo di trasmissione solo perché sei stato vaccinato, non rappresenta ancora una buona base scientifica per una politica di passaporti. La maggior parte dei paesi sono nelle prime fasi del lancio del vaccino, e date le preoccupazioni circa l'impatto delle varianti esistenti - in particolare quella scoperta in Sud Africa ed in Inghilterra - e sulla capacità dei vaccini di offrire protezione, sarebbe prematuro introdurre il sistema dei passaporti. La maggiori parte dei paesi si trova ancora a più di metà strada, perciò si sta forse anticipando troppo la questione. Tali passaporti saranno utilizzati per dare alle persone che sono vaccinati e presunti di avere l'immunità la capacità di fare cose che altri non possono. Dato che l'introduzione del vaccino in alcuni paesi si basa su un sistema prioritario, alcune persone saranno vaccinate prima di altri. Senza contare coloro che scelgono autonomamente di non essere vaccinati. C'è il pericolo di stigmatizzare gli individui che non hanno certificazione, e si può anche penalizzare le persone (e/o paesi) che sono già in svantaggio a causa di alcune disuguaglianze. I passaporti potrebbero incoraggiare le persone che non sono state vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate ad ottenere certificazioni false. I controlli antifrode dovranno essere più impeccabili che mai. Le informazioni sulla salute, come i registri di vaccinazione, sono tenuti dall’ente sanitario locale e non possono essere diffusi per ragioni di privacy. Questi passaporti potrebbero significare che i dati potrebbero essere condivisi con società esterne con il rischio di utilizzi sbagliati e pregiudizievoli. La questione etica che circonda questa scelta è molto seria e deve essere affrontata nel modo più opportuno. Le idee sono tante e buone, ma il dibattito è ancora aperto: per organizzare la ripartenza bisogna pianificare al meglio riconoscendo gli interessi e i bisogni di ogni singolo individuo. TERRITORI E PRODOTTI: le denominazioni di origine come fonte di cultura locale e fiducia nel consumatore12/1/2020 0 Comments Da sempre l’agricoltura e le tecniche in essa utilizzate, sono fonte vitale per i territori della nostra penisola. Ogni territorio italiano ha le sue caratteristiche, le sue peculiarità, le sue specializzazioni e tutto questo si riflette nella magnificenza dei suoi paesaggi, creati sul sapiente “sfruttamento” di esso, per scopi di sussistenza e che regalano, ad oggi, delle vedute caratteristiche volte a identificare e distinguere immediatamente un luogo da un altro; l’agricoltore, in questo contesto, si trasforma in una sorta di ‘custode’ di quel territorio e della sua biodiversità. I prodotti di questi territori non sono solamente il frutto di scambio e di economia locale, sono, invece, una forma di salvaguardia del territorio stesso, della cultura di un luogo e della civiltà che lo abita. L’Italia, grazie a questo forte legame tra il prodotto e il territorio di origine, possiede il più grande numero di prodotti agroalimentari e vinicoli IGP (Indicazione Geografica Protetta) e DOC (Denominazione di Origine Controllata) rispetto a tutti gli altri paesi dell’Unione Europea. Il conferimento di queste denominazioni funge da stimolo per la ricerca sempre maggiore di prodotti a qualità elevata, combinandola con la salvaguardia del territorio dal quale provengono; Prodotti che si sviluppano e assorbono le pratiche applicate dagli agricoltori locali e che vanno, di conseguenza, a rimarcare ancor di più, questo legame indissolubile con il territorio d’origine. A seguito di un sondaggio riguardante una popolazione di circa 100 soggetti diversi sono i dati emersi, fondamentali per comprendere il modo in cui questi prodotti sono percepiti dal consumatore, le caratteristiche che discriminano la scelta del prodotto con denominazione di origine rispetto ad altri. È venuto alla luce un dato particolarmente curioso, riguardante l’interesse del pubblico nella conoscenza della storia e delle peculiarità dei prodotti. La popolazione di questo sondaggio ha un’età compresa principalmente tra i 18 e i 45 anni, e proviene nella maggior parte dei casi da regioni del Nord e Centro Italia. Nella quasi totalità dei casi, i soggetti hanno sentito nominare almeno una volta nella loro vita le denominazioni di origine (DOP – IGP) e, oltre il 90% dei soggetti, acquista regolarmente questo tipo di prodotti, rivolgendosi però principalmente al mercato agroalimentare (57%) piuttosto che quelli di produzione vinicola (35,5%) – il restante 7,5% non acquista prodotti IGP o DOP. Tra i fattori presi in considerazione, ad oggi, per l’acquisto di questo tipo di alimenti spicca in prima posizione la qualità del prodotto (41,9%), a seguire troviamo la voce riguardante la provenienza del prodotto (26,9%) e infine, in terza posizione abbiamo la “salute” (11,8%) che lo stesso trasmette. Il 95% dei soggetti coinvolti ripone molta fiducia nei prodotti con denominazione di origine, sicurezza e fede derivante principalmente dai numerosi controlli che questi devono superare, il monitoraggio delle filiere e la garanzia, per molti, della provenienza del prodotto stesso. Questo ultimo di “sentiment” risulta tanto più elevato quanto più il soggetto è proveniente dal territorio originario del prodotto prescelto. Ultimo dato emerso, molto interessante, risulta essere quello riguardante il piacere e l’interessamento nel conoscere il prodotto, il suo legame con la storia, con la cultura, le pratiche utilizzate e tutto quello che riguarda le caratteristiche intrinseche della merce in questione. È infatti pari al 71% il numero dei partecipanti che gradirebbe avere più conoscenza dei prodotti con denominazione di origine. Questi dati risultano particolarmente utili per lo sviluppo di questo genere di prodotti, in quanto, proprio la garanzia di provenienza degli stessi è fonte primaria della fiducia del consumatore. L’importanza di suddetti prodotti per l’economia locale è sempre maggiore, in quanto capace di far conoscere un territorio e la sua cultura, ma non solo, anche le pratiche utilizzate nella produzione. Prodotti fondamentali non solamente nel mercato interno, ma anche in quello europeo e globale, in grado di far espandere il settore del Food & Beverage italiano e volto alla diffusione della cultura italiana nel mondo.
Risultato che solamente un prodotto a marchio Made in Italy, sempre più forte globalmente, è capace di dare. Disruptive change - Tourism edition11/24/2020 0 Comments Non tradurremo disruptive di proposito, perché non rende bene in italiano quanto in inglese. Possiamo dire che si riferisce a qualcosa di “sensazionale e dirompente”. Il segreto dei brand che hanno successo oggi, sta nel fatto che non producono semplicemente cose nuove da proporre al mercato, queste compagnie investono nella ricerca dei veri bisogni, qualcosa che renda la vita dei clienti più semplice, più innovativa e più incredibile. Più andiamo avanti più il mercato è libero e sempre più compagnie nascono (o muoiono). La competizione non è mai stata così alta ed è sempre più difficile catturare e mantenere l’attenzione del proprio target. Le compagnie di oggi, per avere successo, devono per forza inventarsi qualcosa di estremamente innovativo per riuscire a esaltare sé stessi in un mercato affollatissimo. La differenziazione non è più una tattica per essere migliori dei nostri competitors, bensì una sfida: non è facile trovare la propria unicità. Le compagnie che hanno abbracciato strategie più sensazionali, e quindi disruptive, sono coloro che invece di aspettare il trend o le persone giuste, hanno in primis creato una comunità di followers che indirizza il resto del mondo verso la stessa via della compagnia stessa. Non serve alzare la voce, in un mercato affollato bisogna essere più creativi e passatemi in termine “strani” possibile. Le compagnie disruptive hanno cambiato il nostro stile di vita in un modo o nell’altro. Ecco qualche esempio di azienda che ha superato sé stessa in fatto di marketing e non solo:
Le aziende disruptive hanno il dono di captare i trend più in voga del momento e di un futuro prossimo usandoli a loro favore. Perciò ecco alcuni trends che con altissime probabilità guideranno il futuro dei viaggi: Personalizzazione delle esperienze: Sulle piattaforme social il nostro feed è personalizzato seguendo i gusti che un algoritmo ha estrapolato dalle nostre decisioni e azioni eseguite online. Amazon fa la stessa cosa con i suggerimenti che si basano sui trend dei nostri acquisti precedenti, d’ora in poi i viaggiatori si aspettano sempre più viaggi personalizzati appositamente per loro. Donne in viaggio: In America una ricerca ha mostrato come in media il viaggiatore avventuriero non sia un uomo, bensì una donna, di solito 47 anni. Il 75% dei viaggiatori alla ricerca di avventura, natura e viaggi simili sono donne tra i 20 e i 70 anni. Secondo l’Harvard Business Review le donne hanno un valore di $15 miliardi in potere di acquisto. Moltissime sono alla ricerca di solo travels. Turismo e Agenda 203011/11/2020 0 Comments È giunta l’ora di riconoscere uno dei più grandi problemi che affligge il nostro tempo e la nostra società: l’inesistente sostenibilità del nostro essere. C’è chi lo dice già da tanto, chi ancora non ci crede e chi sta iniziando finalmente a informarsi. Ma c’è un motivo se L’ONU ci mette tanta pressione: la cooperazione di tutti è essenziale. Nel libro “pensare sostenibile una bella impresa” si racconta un episodio bellissimo: pensate che gli indiani Irochesi del Nord America erano pienamente consapevoli del loro impatto per le prossime sette generazioni e basavano la loro economia in funzione di questa programmazione. I Maori della Nuova Zelanda hanno sempre attuato lo stesso metodo: non sottraggono mai dalla natura più di quello che gli serve per sopravvivere. Perché nelle antiche tribù l’organizzazione era tale? Siamo noi che, detto nel modo più semplice e diretto possibile non abbiamo capito nulla? Più o meno. Ma la speranza è l’ultima a morire e per questo l’agenda 2030 dovrà essere parte integrante di qualsiasi organizzazione. BREVISSIMA STORIA DEL CONCETTO DI SOSTENIBILITA’ “la sostenibilità consiste in uno sviluppo che soddisfa i bisogni del presente senza compromettere o intaccare le generazioni future” Nel 1962 nasce la giornata della terra, e, anche se non per la prima volta, la questione climatica inizia a diffondersi e a crescere d’importanza. È un periodo storico particolare, segnato dai più grandi disastri ambientali mai accaduti. Nasce il WWF in Svizzera, e un decennio dopo Greenpeace in Canada (che all’epoca pensate era un peschereccio guidato da 3 persone intente a bloccare test nucleari americani). Sempre in quegli anni in Italia venne fondato il Club di Roma, un gruppo di scienziati e intellettuali che prontamente fiutarono gli enormi problemi che si sarebbero creati da li a poco. La prima conferenza delle UN si tenne nel 1972 a Stoccolma dove 113 capi di stato parlarono per la prima volta dei problemi ambientali. Quell’assemblea segnerà un lunghissimo percorso fatto di tante altre riunioni e trattati: Tokyo, Rio, Kyoto, Amsterdam e molte altre in cui il numero dei capi di stato partecipanti aumenterà sempre di più insieme agli obiettivi che verranno stabiliti da li ai giorni nostri. IL PREDECESSORE DELL’AGENDA 2030 Nel 1999 l’allora segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan annunciò la creazione del Global Compact: una serie di iniziative e obiettivi per direzionare l’intera leadership mondiale verso l’adozione di politiche sostenibili per la salvaguardia dell’ambiente e della popolazione mondiale. Il Global Compact racchiudeva 10 principi che vennero sottoscritti da 193 paesi membri impegnandosi a raggiungerli entro il 2015. Nel 2015 gli stessi 193 paesi si riunirono a New York per fare il punto della situazione e decisero di implementare nuovi obiettivi e di trasformare gli MDGs negli attuali 17 SDGs ovvero gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (sustainable development goals) L’agenda 2030 è forse la più importante e completa che si sia mai creata e sottoscritta fino ad ora: i 17 obiettivi sono interconnessi e indivisibili, ciò vuol dire che sono come una catena ed ogni anello ha bisogno del precedente e di quello dopo per funzionare e si influenzare a vicenda. Essi si basano su 3 pilastri fondamentali: > Crescita economica > Inclusione sociale > Tutela dell’ambiente TURISMO E AGENDA 2030 “ Il turismo è un pilastro essenziale dell’ Agenda 2030. Da esso dipende la sussistenza di molti, specialmente donne e in particolare nei Paesi più vulnerabili del mondo. Inoltre, la tutela della biodiversità si fonda in modo determinante sul settore del turismo, dalla conservazione al reddito generato da questi sforzi” Queste sono le parole di Antonio Guterres, attuale segretario delle ONU. Il turismo infatti è tra i settori più incisivi per il raggiungimento dei target dell’agenda 2030. Il settore viene menzionato in più obiettivi:
È sicuramente cruciale il sostegno nel settore da parte dei governi dei singoli paesi, ma è altrettanto fondamentale un cambio di mentalità da parte di operatori turistici e visitatori stessi. Perciò, che voi apparteniate alla prima categoria, alla seconda o a tutt’altra, siate ben consapevoli che come singolo individuo avete un impatto molto più grande di quello che possiate immaginare. Se sogniamo un mondo migliore dobbiamo cooperare e influenzarci a vicenda, proprio come fanno questi 17 obiettivi. Fonti:
Il Covid-19 è stato causa di innumerevoli conseguenze nel mondo e nel panorama italiano uno dei settori più colpiti è stato proprio quello del turismo, che attualmente rappresenta il 13% del PIL nazionale, trovandoci davanti ad una profonda recessione. Essendosi da poco concluso il periodo estivo, si possono tirare le somme di ciò che è stato in relazione a ciò che si era predetto. A tal proposito, un articolo di fine maggio della rivista settimanale Left, in merito alle previsioni per la stagione imminente, ha parlato di “vacanze più brevi, più green, flessibili e destagionalizzate” come risultato della pandemia. Senz’altro, il mondo dei viaggi e del turismo è stato rivoluzionato e per questo sono state necessarie delle stime così da capire come muoversi e verso quale direzione andare. Si è parlato allora di vacanze più green sicuramente all’insegna della natura, in moltissimi casi, di attività all’aperto che generino basso impatto sul territorio. Vacanze più brevi per varie motivazioni, fra cui certamente quella economica: molti si sono ritrovati senza lavoro, costretti ad usare i loro risparmi e, per tal ragione, coloro che sono riusciti a partire si sono concessi pochi giorni di vacanza in base alle proprie disponibilità. Difatti, secondo un sondaggio a cura di Ecobnb, il 55% degli intervistati non ha previsto di andare in vacanza, mentre fra coloro che si sono decisi a partire, soltanto il 37% sarebbe stato fuori un’intera settimana. Purtroppo, è un dato di fatto che sia aumentato il numero dei cosiddetti nuovi poveri fra cui ritroviamo quei commercianti in difficoltà durante la quarantena, chi un lavoro non lo ha più e chi invece, aveva già consumato le proprie ferie data l’emergenza in corso. Tra quelli che si sono concessi più settimane fuori rientrano probabilmente nella categoria di persone che possiedono seconde case dove poter stare e hanno deciso di passare la loro estate lì. Secondo il professore Niccolò Costa, presidente dell’associazione ACOM, come chiarisce all’interno dell’articolo con un suo intervento, la paura del viaggiare è stata sopravvalutata perché si deve tener conto del potere dei social media: le foto e i momenti condivisi da chi in vacanza ci è andato, avrebbero potuto aiutare le persone a smorzare un po’ la loro paura, lasciandosi guidare dalla voglia di partire e vivere anch’essi tali avventure. In tutto questo però, continua Costa, si deve tenere conto che molti, al contrario, cercheranno di lavorare il più possibile nei mesi estivi per guadagnare ciò che nei mesi precedenti è andato in fumo. “Noi siamo ciò che ricordiamo” è questo che afferma il professor Costa in un intervento per l’Espresso e secondo questo principio può esser utile, non soltanto per questo momento ma per il turismo in generale, puntare a presentare le bellezze italiane come luoghi di ricordi che sono ciò che più accomunano tutti i turisti, anche quelli con stili diversi. Questa estate per i nostri cittadini è stata tutta italiana, o quasi, volta alla riscoperta dei territori italiani, preferendo luoghi meno conosciuti ai classici centri città (overtourism) e, soprattutto, preferendo un turismo di prossimità, senza allontanarsi troppo da casa, potremmo dire. È cresciuta la voglia di scoprire e visitare i piccoli borghi del nostro bel Paese insieme ai centri minori nelle campagne. Avendo maggiore possibilità di partire con mezzi propri anziché pubblici (così da ridurre ancora di più le ansie e preoccupazioni di contagio), le persone si sono sentite più sicure a viaggiare. Quest’anno però gli operatori turistici hanno dovuto lavorare su un punto in più per attrarre visitatori: la sicurezza. Infatti, le strutture prese in considerazione dagli italiani sono state case vacanza da poter affittare in tranquillità e alberghi, considerati più sicuri rispetto a case condivise o ostelli. Ma non è finita qui, aver avuto turisti italiani nel proprio territorio non è bastato a risollevare il settore: secondo un articolo su Wine News, l’emergenza Covid ha fatto crollare di circa il 30% la spesa turistica nei ristoranti e affini, il tutto dovuto agli italiani con una disponibilità economica inferiore rispetto all’anno passato e alla presenza estremamente limitata di turisti stranieri. Questa mancanza si è sentita soprattutto nelle città d’arte che di solito sono meta principale del turismo estero. Infatti, per evitare assembramenti e rischi di contagi, molti si sono attrezzati tornando al classico pranzo a sacco o consumando i pasti direttamente a casa. Pareri contrastanti si hanno invece sulla riuscita o meno del famoso Bonus Vacanze, ovvero quel bonus che il governo italiano ha destinato alle famiglie con un reddito Isee pari o inferiore a 40mila euro. Secondo i dati, 140mila bonus sono stati già spesi entro la fine di agosto e la maggior parte di questi, come riportano le informazioni del Ministero ad Agosto, il 16% di questi è stato utilizzato in Emilia-Romagna, 10% Puglia e 7% in Toscana. Complice sicuramente deve essere la disponibilità da parte delle strutture ad accettare tale incentivo, molte strutture infatti preferiscono non dare questa possibilità mentre altre, soprattutto alberghi, dati i tempi difficili e l’assenza di turisti, hanno addirittura preferito rimanere chiusi e riaprire in tempi migliori. FONTI: www.altroconsumo.it www.iltempo.it www.qds.it www.winenews.it Rivista settimanale "Left" Rivista l'Espresso |
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April 2022
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