Negli ultimi anni sempre più spesso abbiamo sentito parlare di “trasformazione digitale”, spesso anche al marketing e all’uso che se ne può fare se implementiamo nuove soluzioni digitali. In ogni caso, questo è un processo in continua evoluzione che si tiene al passo con i tempi ed è a stretto contatto con l’innovazione. In questo contesto si inseriscono anche l’importanza dei social media che sono fondamentali per fare conoscere la propria impresa ai potenziali clienti, incrementando quindi awareness e brand reputation, portando anche contenuti originali e al passo con i propri competitors. In questo ambito, si deve operare sia dal punto di vista culturale che, soprattutto, su quello tecnologico; il cambiamento è quindi fondamentale e deve essere graduale all’interno dell’azienda. Vediamo insieme qualche esempio di imprese che hanno attuato questa trasformazione digitale: - Mc Donald’s: un grande marchio che tutti conoscono nel mondo e che negli anni cerca di implementare l’innovazione, specialmente quella tecnologica, come possiamo vedere nei processi di vendita al cliente. Ne sono un esempio lampante i touch screen inseriti nei punti vendita che danno la possibilità di velocizzare il processo sia di ordine che di pagamento. Da anni Mc Donald’s sta curando la propria presenza su Internet e continua ad investire sempre di più sull’intelligenza artificiale, facendola diventare un suo punto di forza. - Barilla: rappresenta un caso tutto italiano in cui l’azienda si è imposta di digitalizzarsi il più possibile, usando come strumento l'iniziativa "Barilla Goes Digital” che andava a migliorare le tecnologie digitali riguardanti le attività interne ed esterne all’azienda. Inoltre, non possiamo non citare il Barilla Social Restaurant che nel 2016 fu inaugurato a Manhattan, un ristorante dotato di una vetrina digitale e interattiva, in combinazione con le tecnologie Microsoft che, tramite un sensore, venivano registrati i movimenti delle persone di fronte alla vetrina. Subito dopo, venivano raccolti i dati dei social network e programmati i contenuti riguardo ai menù. - Gucci: Gucci è un altro marchio che fa continui progressi con la digitalizzazione nei suoi servizi. Già nel 2019, l’azienda aveva proposto una funzione di realtà aumentata che permetteva ai suoi utenti di provare le snickers Ace direttamente online. Adesso invece, il marchio ha permesso di personalizzare come si vuole le proprie scarpe tramite app con una serie di strumenti e opzioni da combinare a parti di modelli già esistenti. Attualmente, l’Italia si trova al di sotto della media europea per quanto riguarda le Piccole e Medie Imprese, specialmente per quanto riguarda le vendite online. Le difficoltà incontrate sono dettate spesso dal fatto che molte aziende sono a conduzione familiare e non si sentono pronte al cambiamento o non hanno le skills per attuarlo. Per sopravvivere però c’è bisogno di una continua evoluzione e di adattamento al mercato in evoluzione. L’incombere del Covid ha portato sotto gli occhi di tutti la necessità di avviarsi, e anche rapidamente, verso una digitalizzazione delle imprese per poter mandare avanti il proprio lavoro, nonostante le difficoltà. Questa spinta non l’hanno colta soltanto le grandi aziende ma anche e soprattutto le PMI, i negozietti tradizionali che hanno imparato, finalmente, a spostare la loro attività sui social, ad innovarsi dal punto di vista delle iniziative e ad ingegnarsi nella fruizione dei propri servizi. Fonti:
www.ninjamarketing.it www.digital-leaders.it www.doxee.com www.economyup.it
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Turismo e Resilienza3/25/2021 0 Comments La facoltà di turismo e gastronomia dell’ universidad Autonoma del Estado de Mexico ha organizzato un ciclo di conferenze dedicato alla vulnerabilità e alla resilienza nel turismo. Il 5 marzo, per il primo intervento del ciclo di conferenze, dove ha parlato il Dottor Alberto Amore, insegnante universitario internazionale presentando “Questing the resilience in tourism” la quale può essere più o meno tradotta come “cercando la resilienza nel turismo” Un intervento estremamente interessante soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione turistica a livello di politiche di pianificazione. Un discorso che si incentra sulla vulnerabilità delle destinazioni turistiche nei confronti di rischi ed eventi inevitabili (ad esempio terremoti in zone tendenti a movimenti sismici o una pandemia). La vulnerabilità è un termine che nel settore fino a 20 anni fa non veniva quasi menzionato. Viene intesa come il riconoscimento dei rischi che i luoghi corrono, la comprensione di questi e la preparazione basata e pianificata su eventi già avvenuti in passato e che possono formarci in funzione del futuro. Questo è estremamente importante per moderare gli impatti che tutti gli attori di una destinazione dovranno affrontare nel caso di eventi inevitabili. Se guardiamo alla situazione attuale data dalla pandemia, pensiamo in primo luogo alla ripercussione economica che essa ha avuto, portando alla chiusura e allo stop delle maggior parte delle attività di business, voli vuoti, distanze di sicurezza. Dobbiamo essere consci però del fatto che il settore turismo e viaggi è un campo che è sempre stato estremamente esposto a problemi sanitari (esempi lampanti sono le epidemie di Norovirus nelle crociere, o il caso dell’epidemia di SARS nel 2003). Un settore che cresce senza sosta dagli anni ’70, un’ economia che ha mosso 1,4 miliardi di turisti solo nel 2018. La vulnerabilità del settore spazia dall’esposizione a catastrofi naturali alle ondate di epidemie e impatta tutti gli attori coinvolti, dai business alle comunità locali. Covid-19 non è il primo e non sarà, purtroppo, l’ultimo caso. La fragile esposizione del settore riguarda aspetti politici, ecologici, culturali e tecnologici in un unico insieme, e quando si tratta di previsione e organizzazione tutti e quattro i fattori devono essere presi in considerazione senza nessuna esclusione, perché profondamente connessi l’uno all’altro. Infatti, uno studio condotto da Greenberg e Gotham (2014) ha dimostrato con il modello “crisis-driven vulnerability” che eventi come le torri gemelle 9/11 o l’uragano Katrina avrebbero potuto essere previsti vista l’esposizione delle città in questione a questo tipo di rischi, data da una determinata organizzazione politica e sociale. E la resilienza? La definizione in psicologia è forse quella che tutti conosciamo, ovvero la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Ma c’è un’altra definizione, forse più adatta, per quanto riguarda la resilienza applicata nel nostro contesto. Infatti, la resilienza viene anche definita come la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Il dottor Amore ha sottolineato come il termine resilienza è in opposizione al concetto di vulnerabilità. Una popolazione resiliente è un gruppo di persone consapevole e vigile nei riguardi delle sue vulnerabilità contro eventi e rischi specifici (sia a breve che a lungo termine). Una destinazione che non è conscia dei propri rischi non può essere considerata resiliente. La resilienza nasce dalla capacità di affrontare il problema senza cadere, non di reagire alla difficoltà dopo che questa si è mostrata, come generalmente si tende a pensare. come ci si organizza in modo resiliente? Quando ci riferiamo ad una specifica destinazione ci sono delle domande da prendere in considerazione: chi determina l’attrattività di un paese? Quali interessi e settori sono inclusi? Qual è il nostro focus generazionale e quali obiettivi vogliamo raggiungere nel costruire una società resiliente? Una volta determinata l’attrattività di una destinazione in termini di sviluppo e pianificazione possiamo finalmente analizzare gli elementi che potrebbero costituire un approccio resiliente nei confronti di determinati eventi. Ma quale resilienza deve essere anteposta alle altre? Sicuramente l’attore più importante del settore è riconosciuto nella comunità locale, la quale forma l’attrattività per diversi tipi di turismo e l’unicità culturale di un luogo. Nel momento dell’organizzazione politica di una destinazione, la comunità locale dovrebbe rappresentare il centro nevralgico da cui le decisioni poi verrebbero prese in funzione della raggiunta di un’autonomia locale e del rafforzamento della comunità. Durante l’organizzazione di un luogo la visione a lungo termine è un MUST. Cosa ci permette di avere una destinazione resiliente? I fattori di resilienza esposti dal professore durante la conferenza sono i seguenti: La consapevolezza delle proprie vulnerabilità in primis, intraprendere un piano di sviluppo che benefici la comunità locale, impegnarsi in una pianificazione collaborativa con tutti gli attori del settore, ridefinire l’amministrazione operando sia a livello regionale che locale. La ripresa non sta nell’emulare la buona condotta dei nostri concorrenti o destinazioni importanti (non funzionerebbe per via delle necessità che variano basate su fattori estremamente diversi da una regione all’altra), sta nella collaborazione e riorganizzazione. Sicuramente le parole d’ordine di oggi per affrontare un mondo sempre più veloce ed esposto sono: IMPARARE DAL PASSATO. Siamo ad un anno esatto in cui è stato pronunciato per la prima volta il nome COVID-19 portando con sé grandi cambiamenti accompagnati da profonde crisi, alcune già preesistenti. Le parole più ripetute durante questo lungo anno, che sembra non essersi mai concluso, oltre a virus e pandemia, sono state digitalizzazione, tecnologia e trasformazione. Tecnologia e digitalizzazione oltre a essere le più enunciate sono entrate permanentemente nella vita di tutti i giorni. Il cambio di abitudini lavorative, scolastiche e familiari hanno segnato una linea profonda e ben visibile tra il mondo di ieri e il mondo attuale; l’introduzione della DaD e dello Smart Working hanno ridisegnato i quadri canonici che eravamo abituati a vedere aprendo, così, gli occhi su altro e stuzzicando l’attenzione verso altri temi come green, ecologia e sostenibilità. Di certo la riduzione dell’uso dei mezzi di trasporto e la ridefinizione del ciclo produttivo e lo stop agli spostamenti ha reso l’ambiente più vivibile rispetto al passato. L’uso intenso della tecnologia ha ridotto le distanze e reso tutto più agile nonché facile. Ma la tecnologia, come la usiamo oggi, è realmente sostenibile? In un articolo uscito sul L’Espresso del 7 febbraio 2021, Roberto Cingolani, fisico ed ex direttore dell’Istituto Italiano di tecnologia responsabile innovazione tecnologia Leonardo, disegna un quadro completo e interessante sulle tecnologie. In linea con il pensiero attuale sulla sostenibilità, la tecnologia digitale rappresenta il volano per accelerare lo sviluppo sostenibile attraverso la sua immensa possibilità di dematerializzare molte attività, rendere il lavoro più snello e veloce e riducendo gli spostamenti, ma ogni tecnologia deve essere usata equilibratamente e con parsimonia, nessuna di esse è gratis, salvo, il prezzo non siamo noi! Quanto, però, è verde la tecnologia digitale che usiamo? L’impronta energetica, ossia il consumo utile per far funzionare tutte le apparecchiature, cresce del 9% annuo aumentando il consumo di elettricità così come anche l’impatto ambientale. L’elettricità richiesta per le operazioni e elaborazione dei dati di qualsiasi attività varia tra il 5-9% del consumo totale di elettricità del mondo e sia responsabile di oltre il 2% di tutte le emissioni. Secondo una stima elaborata da MteC l’uso degli smartphone sul Pianeta genera circa 200 milioni di tonnellate di carbonio l’anno coprendo circa 7 miliardi di attività tecnologiche. La poca sostenibilità della tecnologia non è relativa solo al consumo ambientale in ottica elettrica, ma è da considerare l’inquinamento provocato dallo smaltimento dei supporti stessi: in Europa ogni anno si producono circa 12 milioni di tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Un ultimo aspetto che impatta sulla visione totalmente sostenibile delle tecnologie, riguarda forse la sfera socio – culturale ed è la creazione di nuove disuguaglianze. Il Digital Divide non è solo una differenza di uso e possedimento della tecnologia, ma è una vera e propria barriera allo sviluppo, egualitario, sostenibile globale. Nei paesi più ricchi la spesa media per la digitalizzazione è cresciuta tra il 3 e il 5 per cento annuo; in altri paesi dove non c’è crescita del Pil il Digital Divide aumenta. Nel 2018 un americano consumava 140GB di dati al mese contro 2GD di un cittadino indiano, per cui la crescita tecnologica non è uniforme, ma il suo impatto è subito da tutti quasi allo stesso modo. L’energia elettrica è la causa principale dell’inquinamento nel settore e inficia la sostenibilità digitale: si stima che il consumo di energia delle TIC (tecnologie di informazione e comunicazione) corrisponda a emissioni di 830 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari al2% delle emissioni globali totali. Questa percentuale è destinata a raddoppiare entro l’anno prossimo (2020 – ci siamo quasi), lo stesso anno fissato dall’UE come limite per ridurre le emissioni del 20%. Fonti:
- Settimanale di politica cultura economia n°7 anno LXVII 7 febbraio 2021. - https://www.euractiv.com/ - https://www.mtec-sc.org Agli albori del 2000, l’evoluzione e trasformazione della tecnologia ha portato il web a diventare una vera e propria piattaforma di interscambio di informazioni e connessioni. Tim O’ Relly definisce questa fase Web 2.0, indicandola come “la rivoluzione commerciale nell'industria informatica provocata dalla trasformazione di Internet a piattaforma e dal tentativo di comprendere le regole per avere successo con questa nuova piattaforma". I primi anni 2000 sono stati il momento cruciale per la nascita di Internet come lo conosciamo oggi. Non a caso nel 2004 nasce Facebook e poco prima, nel 2002, nasce LinkedIn dal lavoro di Reid Hoffman e dalla collaborazione di Allen Blue, Konstantin Guericke, Eric Ly e Jean-Luc Vaillant, un gruppo di imprenditori statunitensi che stabiliscono la sede della LinkedIn Corporation a Palo Alto, in California. Ad oggi LinkedIn è il principale social network nel mondo del lavoro, presente in oltre 200 paesi, e mantiene fermi ancora oggi i suoi valori e obiettivi: creare opportunità economiche per ciascun membro della forza lavoro globale attraverso l’elaborazione del primo Economic Graph al mondo.
La missione di LinkedIn è semplice: collegare i professionisti di tutto il mondo per aiutarli a essere più produttivi e a raggiungere i propri obiettivi professionali. Grazie alla sua diffusione e caratteristiche, LinkedIn è lo strumento ideale per creare relazioni B2B. Proprio per questo non bisogna limitarsi a utilizzarlo solo come trasposizione del proprio Curriculum Vitae online! Le potenzialità sono molte di più:
Perché utilizzare LinkedIn? Che tu sia alla ricerca di un lavoro o voglia cambiarlo, che tu sia il proprietario di una piccola o grande impresa, che tu sia un libero professionista o che tu voglia avanzare di carriera, essere su LinkedIn è d’obbligo. Ma esserci non basta. Presentare le proprie competenze, le hard e soft skills, è ovviamente fondamentale. Ma l’errore più comune è considerare LinkedIn un sito vetrina mentre è un vero e proprio social network. E come tale richiede la creazione di connessioni. Per migliorare il Personal Branding, costruire la propria reputazione online ed entrare in contatto con potenziali clienti o datori di lavoro è necessario partecipare attivamente alla vita di questo social media. Le azioni da sviluppare possono essere sinteticamente riassunte in 3 macro-aree:
Citando Reid Hoffman “fare networking non significa fare fredde telefonate a degli sconosciuti. In realtà chi ti può aiutare veramente sono le persone che già hanno una forte fiducia in te e che sanno che sei un lavoratore intelligente e appassionato”. Per questo una parte fondamentale della presenza online deve essere l’ottimizzazione del profilo LinkedIn volta a valorizzare le skills e ad agevolare la creazione di connessioni professionali. Comprendere come utilizzare LinkedIn per il proprio business e attività lavorativa è strategicamente importante e per questo ACOM sta organizzando un nuovo webinar dedicato a LinkedIn. Per maggiori informazioni contattaci Il mercato del lavoro è dinamico e in continua evoluzione e in particolar modo lo è il comparto turistico che, nello scenario attuale, cambia e si trasforma velocemente. Un esempio a tal proposito è la digitalizzazione dell’offerta turistica nazionale, unita al progredire del web marketing, in questo anno di pandemia. Ma insieme al settore e all’offerta cambiano anche le skills richieste dai professionisti dell’impresa che reclamano sempre più spesso nuovi approcci lavorativi, nuove strategie e nuove abilità professionali, assistendo così ad una vera e propria evoluzione del posto di lavoro. A tal proposito Acom – Alleanza Competenze nell’Ospitalità e nella Mobilità - ha strutturato e organizzato un webinar totalmente gratuito dalla durata di un’ora nel quale verrà affrontato questo cambiamento e verranno illustrate, tramite la partecipazione di esperti del settore, le nuove skills professionali richieste. Tra le quali le così dette soft e hard skills, life long learning e T-shaped skills e, in particolare, come valorizzarle nel Curriculum Vitae. Parleremo della trasformazione digitale e delle opportunità che essa offre, fondamentali per poter mantenere la propria competitività sul mercato, della riorganizzazione del lavoro a seguito di una sempre più evidente trasformazione tecnologica e della capacità di sviluppare una nuova mentalità ovvero, un’attitudine aperta al cambiamento e ai ritmi frenetici del digital marketing. Quali saranno le nuove opportunità lavorative per i giovani laureati e startupper? Scoprilo insieme a noi partecipando al webinar che si terrà il 10 marzo 2021 alle ore 19:00. Per il momento l’incontro è SOLD OUT, nel ringraziarvi per l’affluenza, vi ricordiamo di rimanere sintonizzati sui nostri canali per avere aggiornamenti sulle prossime iniziative promosse da Acom! |
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