Turismo e Resilienza3/25/2021 0 Comments La facoltà di turismo e gastronomia dell’ universidad Autonoma del Estado de Mexico ha organizzato un ciclo di conferenze dedicato alla vulnerabilità e alla resilienza nel turismo. Il 5 marzo, per il primo intervento del ciclo di conferenze, dove ha parlato il Dottor Alberto Amore, insegnante universitario internazionale presentando “Questing the resilience in tourism” la quale può essere più o meno tradotta come “cercando la resilienza nel turismo” Un intervento estremamente interessante soprattutto per quanto riguarda l’organizzazione turistica a livello di politiche di pianificazione. Un discorso che si incentra sulla vulnerabilità delle destinazioni turistiche nei confronti di rischi ed eventi inevitabili (ad esempio terremoti in zone tendenti a movimenti sismici o una pandemia). La vulnerabilità è un termine che nel settore fino a 20 anni fa non veniva quasi menzionato. Viene intesa come il riconoscimento dei rischi che i luoghi corrono, la comprensione di questi e la preparazione basata e pianificata su eventi già avvenuti in passato e che possono formarci in funzione del futuro. Questo è estremamente importante per moderare gli impatti che tutti gli attori di una destinazione dovranno affrontare nel caso di eventi inevitabili. Se guardiamo alla situazione attuale data dalla pandemia, pensiamo in primo luogo alla ripercussione economica che essa ha avuto, portando alla chiusura e allo stop delle maggior parte delle attività di business, voli vuoti, distanze di sicurezza. Dobbiamo essere consci però del fatto che il settore turismo e viaggi è un campo che è sempre stato estremamente esposto a problemi sanitari (esempi lampanti sono le epidemie di Norovirus nelle crociere, o il caso dell’epidemia di SARS nel 2003). Un settore che cresce senza sosta dagli anni ’70, un’ economia che ha mosso 1,4 miliardi di turisti solo nel 2018. La vulnerabilità del settore spazia dall’esposizione a catastrofi naturali alle ondate di epidemie e impatta tutti gli attori coinvolti, dai business alle comunità locali. Covid-19 non è il primo e non sarà, purtroppo, l’ultimo caso. La fragile esposizione del settore riguarda aspetti politici, ecologici, culturali e tecnologici in un unico insieme, e quando si tratta di previsione e organizzazione tutti e quattro i fattori devono essere presi in considerazione senza nessuna esclusione, perché profondamente connessi l’uno all’altro. Infatti, uno studio condotto da Greenberg e Gotham (2014) ha dimostrato con il modello “crisis-driven vulnerability” che eventi come le torri gemelle 9/11 o l’uragano Katrina avrebbero potuto essere previsti vista l’esposizione delle città in questione a questo tipo di rischi, data da una determinata organizzazione politica e sociale. E la resilienza? La definizione in psicologia è forse quella che tutti conosciamo, ovvero la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Ma c’è un’altra definizione, forse più adatta, per quanto riguarda la resilienza applicata nel nostro contesto. Infatti, la resilienza viene anche definita come la capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi. Il dottor Amore ha sottolineato come il termine resilienza è in opposizione al concetto di vulnerabilità. Una popolazione resiliente è un gruppo di persone consapevole e vigile nei riguardi delle sue vulnerabilità contro eventi e rischi specifici (sia a breve che a lungo termine). Una destinazione che non è conscia dei propri rischi non può essere considerata resiliente. La resilienza nasce dalla capacità di affrontare il problema senza cadere, non di reagire alla difficoltà dopo che questa si è mostrata, come generalmente si tende a pensare. come ci si organizza in modo resiliente? Quando ci riferiamo ad una specifica destinazione ci sono delle domande da prendere in considerazione: chi determina l’attrattività di un paese? Quali interessi e settori sono inclusi? Qual è il nostro focus generazionale e quali obiettivi vogliamo raggiungere nel costruire una società resiliente? Una volta determinata l’attrattività di una destinazione in termini di sviluppo e pianificazione possiamo finalmente analizzare gli elementi che potrebbero costituire un approccio resiliente nei confronti di determinati eventi. Ma quale resilienza deve essere anteposta alle altre? Sicuramente l’attore più importante del settore è riconosciuto nella comunità locale, la quale forma l’attrattività per diversi tipi di turismo e l’unicità culturale di un luogo. Nel momento dell’organizzazione politica di una destinazione, la comunità locale dovrebbe rappresentare il centro nevralgico da cui le decisioni poi verrebbero prese in funzione della raggiunta di un’autonomia locale e del rafforzamento della comunità. Durante l’organizzazione di un luogo la visione a lungo termine è un MUST. Cosa ci permette di avere una destinazione resiliente? I fattori di resilienza esposti dal professore durante la conferenza sono i seguenti: La consapevolezza delle proprie vulnerabilità in primis, intraprendere un piano di sviluppo che benefici la comunità locale, impegnarsi in una pianificazione collaborativa con tutti gli attori del settore, ridefinire l’amministrazione operando sia a livello regionale che locale. La ripresa non sta nell’emulare la buona condotta dei nostri concorrenti o destinazioni importanti (non funzionerebbe per via delle necessità che variano basate su fattori estremamente diversi da una regione all’altra), sta nella collaborazione e riorganizzazione. Sicuramente le parole d’ordine di oggi per affrontare un mondo sempre più veloce ed esposto sono: IMPARARE DAL PASSATO.
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Siamo ad un anno esatto in cui è stato pronunciato per la prima volta il nome COVID-19 portando con sé grandi cambiamenti accompagnati da profonde crisi, alcune già preesistenti. Le parole più ripetute durante questo lungo anno, che sembra non essersi mai concluso, oltre a virus e pandemia, sono state digitalizzazione, tecnologia e trasformazione. Tecnologia e digitalizzazione oltre a essere le più enunciate sono entrate permanentemente nella vita di tutti i giorni. Il cambio di abitudini lavorative, scolastiche e familiari hanno segnato una linea profonda e ben visibile tra il mondo di ieri e il mondo attuale; l’introduzione della DaD e dello Smart Working hanno ridisegnato i quadri canonici che eravamo abituati a vedere aprendo, così, gli occhi su altro e stuzzicando l’attenzione verso altri temi come green, ecologia e sostenibilità. Di certo la riduzione dell’uso dei mezzi di trasporto e la ridefinizione del ciclo produttivo e lo stop agli spostamenti ha reso l’ambiente più vivibile rispetto al passato. L’uso intenso della tecnologia ha ridotto le distanze e reso tutto più agile nonché facile. Ma la tecnologia, come la usiamo oggi, è realmente sostenibile? In un articolo uscito sul L’Espresso del 7 febbraio 2021, Roberto Cingolani, fisico ed ex direttore dell’Istituto Italiano di tecnologia responsabile innovazione tecnologia Leonardo, disegna un quadro completo e interessante sulle tecnologie. In linea con il pensiero attuale sulla sostenibilità, la tecnologia digitale rappresenta il volano per accelerare lo sviluppo sostenibile attraverso la sua immensa possibilità di dematerializzare molte attività, rendere il lavoro più snello e veloce e riducendo gli spostamenti, ma ogni tecnologia deve essere usata equilibratamente e con parsimonia, nessuna di esse è gratis, salvo, il prezzo non siamo noi! Quanto, però, è verde la tecnologia digitale che usiamo? L’impronta energetica, ossia il consumo utile per far funzionare tutte le apparecchiature, cresce del 9% annuo aumentando il consumo di elettricità così come anche l’impatto ambientale. L’elettricità richiesta per le operazioni e elaborazione dei dati di qualsiasi attività varia tra il 5-9% del consumo totale di elettricità del mondo e sia responsabile di oltre il 2% di tutte le emissioni. Secondo una stima elaborata da MteC l’uso degli smartphone sul Pianeta genera circa 200 milioni di tonnellate di carbonio l’anno coprendo circa 7 miliardi di attività tecnologiche. La poca sostenibilità della tecnologia non è relativa solo al consumo ambientale in ottica elettrica, ma è da considerare l’inquinamento provocato dallo smaltimento dei supporti stessi: in Europa ogni anno si producono circa 12 milioni di tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Un ultimo aspetto che impatta sulla visione totalmente sostenibile delle tecnologie, riguarda forse la sfera socio – culturale ed è la creazione di nuove disuguaglianze. Il Digital Divide non è solo una differenza di uso e possedimento della tecnologia, ma è una vera e propria barriera allo sviluppo, egualitario, sostenibile globale. Nei paesi più ricchi la spesa media per la digitalizzazione è cresciuta tra il 3 e il 5 per cento annuo; in altri paesi dove non c’è crescita del Pil il Digital Divide aumenta. Nel 2018 un americano consumava 140GB di dati al mese contro 2GD di un cittadino indiano, per cui la crescita tecnologica non è uniforme, ma il suo impatto è subito da tutti quasi allo stesso modo. L’energia elettrica è la causa principale dell’inquinamento nel settore e inficia la sostenibilità digitale: si stima che il consumo di energia delle TIC (tecnologie di informazione e comunicazione) corrisponda a emissioni di 830 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari al2% delle emissioni globali totali. Questa percentuale è destinata a raddoppiare entro l’anno prossimo (2020 – ci siamo quasi), lo stesso anno fissato dall’UE come limite per ridurre le emissioni del 20%. Fonti:
- Settimanale di politica cultura economia n°7 anno LXVII 7 febbraio 2021. - https://www.euractiv.com/ - https://www.mtec-sc.org Agli albori del 2000, l’evoluzione e trasformazione della tecnologia ha portato il web a diventare una vera e propria piattaforma di interscambio di informazioni e connessioni. Tim O’ Relly definisce questa fase Web 2.0, indicandola come “la rivoluzione commerciale nell'industria informatica provocata dalla trasformazione di Internet a piattaforma e dal tentativo di comprendere le regole per avere successo con questa nuova piattaforma". I primi anni 2000 sono stati il momento cruciale per la nascita di Internet come lo conosciamo oggi. Non a caso nel 2004 nasce Facebook e poco prima, nel 2002, nasce LinkedIn dal lavoro di Reid Hoffman e dalla collaborazione di Allen Blue, Konstantin Guericke, Eric Ly e Jean-Luc Vaillant, un gruppo di imprenditori statunitensi che stabiliscono la sede della LinkedIn Corporation a Palo Alto, in California. Ad oggi LinkedIn è il principale social network nel mondo del lavoro, presente in oltre 200 paesi, e mantiene fermi ancora oggi i suoi valori e obiettivi: creare opportunità economiche per ciascun membro della forza lavoro globale attraverso l’elaborazione del primo Economic Graph al mondo.
La missione di LinkedIn è semplice: collegare i professionisti di tutto il mondo per aiutarli a essere più produttivi e a raggiungere i propri obiettivi professionali. Grazie alla sua diffusione e caratteristiche, LinkedIn è lo strumento ideale per creare relazioni B2B. Proprio per questo non bisogna limitarsi a utilizzarlo solo come trasposizione del proprio Curriculum Vitae online! Le potenzialità sono molte di più:
Perché utilizzare LinkedIn? Che tu sia alla ricerca di un lavoro o voglia cambiarlo, che tu sia il proprietario di una piccola o grande impresa, che tu sia un libero professionista o che tu voglia avanzare di carriera, essere su LinkedIn è d’obbligo. Ma esserci non basta. Presentare le proprie competenze, le hard e soft skills, è ovviamente fondamentale. Ma l’errore più comune è considerare LinkedIn un sito vetrina mentre è un vero e proprio social network. E come tale richiede la creazione di connessioni. Per migliorare il Personal Branding, costruire la propria reputazione online ed entrare in contatto con potenziali clienti o datori di lavoro è necessario partecipare attivamente alla vita di questo social media. Le azioni da sviluppare possono essere sinteticamente riassunte in 3 macro-aree:
Citando Reid Hoffman “fare networking non significa fare fredde telefonate a degli sconosciuti. In realtà chi ti può aiutare veramente sono le persone che già hanno una forte fiducia in te e che sanno che sei un lavoratore intelligente e appassionato”. Per questo una parte fondamentale della presenza online deve essere l’ottimizzazione del profilo LinkedIn volta a valorizzare le skills e ad agevolare la creazione di connessioni professionali. Comprendere come utilizzare LinkedIn per il proprio business e attività lavorativa è strategicamente importante e per questo ACOM sta organizzando un nuovo webinar dedicato a LinkedIn. Per maggiori informazioni contattaci Il mercato del lavoro è dinamico e in continua evoluzione e in particolar modo lo è il comparto turistico che, nello scenario attuale, cambia e si trasforma velocemente. Un esempio a tal proposito è la digitalizzazione dell’offerta turistica nazionale, unita al progredire del web marketing, in questo anno di pandemia. Ma insieme al settore e all’offerta cambiano anche le skills richieste dai professionisti dell’impresa che reclamano sempre più spesso nuovi approcci lavorativi, nuove strategie e nuove abilità professionali, assistendo così ad una vera e propria evoluzione del posto di lavoro. A tal proposito Acom – Alleanza Competenze nell’Ospitalità e nella Mobilità - ha strutturato e organizzato un webinar totalmente gratuito dalla durata di un’ora nel quale verrà affrontato questo cambiamento e verranno illustrate, tramite la partecipazione di esperti del settore, le nuove skills professionali richieste. Tra le quali le così dette soft e hard skills, life long learning e T-shaped skills e, in particolare, come valorizzarle nel Curriculum Vitae. Parleremo della trasformazione digitale e delle opportunità che essa offre, fondamentali per poter mantenere la propria competitività sul mercato, della riorganizzazione del lavoro a seguito di una sempre più evidente trasformazione tecnologica e della capacità di sviluppare una nuova mentalità ovvero, un’attitudine aperta al cambiamento e ai ritmi frenetici del digital marketing. Quali saranno le nuove opportunità lavorative per i giovani laureati e startupper? Scoprilo insieme a noi partecipando al webinar che si terrà il 10 marzo 2021 alle ore 19:00. Per il momento l’incontro è SOLD OUT, nel ringraziarvi per l’affluenza, vi ricordiamo di rimanere sintonizzati sui nostri canali per avere aggiornamenti sulle prossime iniziative promosse da Acom! Artificial Intelligence: sogno o una reale opportunità per il settore dell’ospitalità?2/24/2021 0 Comments L’Intelligenza Artificiale può essere definita come l’estensione delle abilità umane verso le macchine e il suo ritorno in positivo all’uomo. È, per cui, l’attitudine di una macchina di mostrare capacità umane come il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività. Questa sua predisposizione permette ai sistemi (informatici – tecnologici) di capire l’ambiente in cui operano, creare relazioni e mettersi in relazione con l’esterno, risolvere i problemi e agire verso un obiettivo specifico. La peculiarità dell’Intelligenza Artificiale è che essa è capace di adattarsi attraverso l’analisi degli effetti causati dalle azioni precedenti. Inoltre, i sistemi IA lavorano in completa autonomia con una netta riduzione di tempo, costi con un incremento delle performance. I sistemi IA sono entrati, quasi, permanentemente nella nostra vita quotidiana come ausilio per risolvere problemi di diversa natura: basti pensare alle chatbot o agli assistenti vocali. La realtà sembra divisa in due gruppi opposti: chi li teme e li identifica come mezzi a sostituzione del lavoro umano e chi, invece, li reputa un supporto del lavoro umano riducendo stress e migliorando le condizioni lavorative. L’IA è necessaria per potenziare il settore alberghiero o per “svecchiare” alcune consuetudini gestionali? Potrà l’impiego dei sistemi IA segnare una svolta nonché un aiuto a un settore fortemente colpito dalle conseguenze del COVID-19 dove l’interazione umana era imprescindibile? L’intelligenza artificiale permette di instaurare un rapporto umano con gli ospiti, perché consente di dare maggior supporto e presenza alla clientela stessa. L’utilizzo delle chat, che permettono di rispondere in ogni orario, alleggerisce il lavoro del front desk, così da poter lasciare più tempo per dialogare e ascoltare le necessità degli ospiti. L’uso della messaggistica istantanea e delle chatbot presenti sul sito web aiutano a costruire un rapporto con i navigatori così da trasformali da potenziali a certi “attuali” clienti, perché in 15 secondi riescono a avere risposte ai propri dubbi in maniera istantanea e esaustiva H24 e 7 giorni su 7: la tecnologia presente oggi, perfezionatasi nel tempo, risulta essere più efficiente, per la messaggistica diretta, dei dipendenti perché risponde più velocemente alle domande frequentemente poste. Non va dimenticato l’aspetto economico di ritorno per gli hotel: investire in sistemi tecnologici avanzati consente agli albergatori di ridurre i costi di manodopera, come a esempio i costi della gestione del personale e la contrattualistica. Attualmente il settore alberghiero già utilizza sistemi di Intelligenza Artificiale; come il Revenue Management e i diversi indicatori che aiutano a comprendere l’andamento dell’hotel oppure il Dynamic Pricing Automation; entrambi permettono agli operatori di settore di elaborare un’offerta personalizzata quanto di poter studiare e comprendere il cliente, così da offrire servizi sempre più personalizzati e meno standardizzati. I sistemi già in essere e utilizzati, sono stati riassunti nell’immagine grafico/sottostante: Si tratta, dunque, non solo di estendere questi sistemi anche in altri settori presenti all’interno dell’hotel, ma anche di ridisegnare in, una chiave di lettura più dinamica, la gestione e l’operatività della struttura stessa. L’impiego dell’Intelligenza Artificiale non deve per forza coincidere con un taglio dei posti di lavoro, ma può essere letta come un’evoluzione del lavoro stesso: molto del personale impiegato nel front desk, potrebbe essere impiegato alla cura del cliente o alla gestione e controllo dei supporti tecnologici. Allo stesso modo anche gli spazi comuni degli hotel potrebbero essere impiegati per socializzare, conoscere, diffondere notizie relative al luogo o creare momenti di diffusione di informazioni e novità. Esistono già catene di hotel che hanno messo in atto un cambio gestionale della struttura e tra questi, gli esempi più noti sono:
La vera novità dell’intelligenza artificiale nel turismo è rappresentata dal fatto che le operazioni automatizzabili non sono solo quelle fatte ripetitivamente, ma possono essere anche attività dove è necessario entrare in empatia con il cliente, capire ciò di cui ha bisogno e prendere delle decisioni, risolvere controversie, fare preventivi o proporre soluzioni e offerte. Per il turismo non si prospetta un futuro fatto solo da chatbot e robot, ma un futuro in cui l’essere umano dedicherà più tempo alla cura e comprensione del cliente, inteso come persona attiva del processo, e meno alle operazioni ripetitive. I robot, come ora e anche nel futuro, saranno il mezzo per poter lavorare meglio, produrre di più in meno tempo e con una qualità del lavoro migliore. Le competenze del futuro: la condivisione del sapere come nuovo asset del mondo del lavoro2/17/2021 0 Comments Il mercato del lavoro, nello scenario attuale, è in continua evoluzione – cambia e si trasforma velocemente; Con esso mutano anche i profili e le competenze richieste ai lavoratori, creando scompiglio tra giovani (e non), che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro. Si passano ore a comprendere cosa inserire nel proprio curriculum senza sapere a volte, cosa è richiesto dai datori di lavoro. Le skills chiave che, sempre di più, saranno presenti nel futuro prossimo del mercato lavorativo, già menzionate nei precedenti articoli sono: soft skills, life long learning e T-shaped skills. Oggi andremo a spaziare nel tema delle soft skills ed in particolare del team working. Per comprendere la direzione futura del mondo del lavoro è necessario distaccarsi dall’idea accademica del lavoro. Gli studenti, al giorno d’oggi, sono sempre più indirizzati verso un approccio nozionistico tralasciando alcuni aspetti fondamentali del mondo del lavoro – le skills. Come già accennato in precedenza, tra le “nuove” competenze da introdurre per approcciarsi all’ambito lavorativo troviamo le soft skills o competenze trasversali. Esse risultano essere un punto trainante dello sviluppo dell’individuo, sia a livello personale, sia a livello lavorativo. Si tratta di elementi difficilmente dimostrabili (al contrario delle hard skills), ma determinanti per la comprensione del carattere. Tra quelle più richieste dai datori di lavoro ci sono il teamwork, la capacità di comunicazione, l’empatia e l’ascolto. Il minimo comune denominatore di quanto detto precedentemente si traduce in una parola principale: condivisione. Il lavoro di squadra, la comunicazione, l’empatia e l’ascolto sono tutte parte del gruppo di skills considerate “sociali” – facenti parte del processo di organizzazione delle conoscenze e di pensiero, per svilupparle e, successivamente, condividerle. In merito a ciò, è importante tenere a mente le parole del professor Domenico Barricelli, docente presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata – che nel suo manuale “Work Life Project, progettare il proprio percorso di vita professionale”, sottolinea l’importanza dei project work per lo sviluppo del singolo attraverso i gruppi di apprendimento. Lo strumento del progetto permette, pertanto, di concentrarsi sui processi di relazione tra gli individui, nonché la comunicazione interpersonale – elementi che traspaiono soprattutto e grazie al lavoro in team.
Si tratta di un metodo didattico che si ispira al principio del “learning by doing” - il quale sottolinea il concetto secondo il quale, in seguito ad un periodo di studio/apprendimento, si è capaci di creare un piano di lavoro con obiettivi prefissati, in un contesto concreto. Il futuro, tuttavia, prospetta ulteriori sfide per il mercato del lavoro – l’aggiornamento continuo e costante chiamato anche “lifelong learning” – le conoscenze di un individuo, in tal senso, sono considerate beni ‘deperibili’ che vanno mantenute e implementate in maniera continuativa. Uno strumento utile, a tal proposito, è proprio il Team Working – l’obiettivo di questa metodologia è, infatti, quello di creare un ambiente partecipativo e stimolante, capace di sviluppare competenze di collaborazione, attraverso la condivisione della conoscenza, mettendola a disposizione del gruppo. Con il suo manuale, il professor Barricelli, ci fa comprendere l’importanza del team working come skill e come componente individuale necessaria per inoltrarsi nel ‘nuovo’ futuro del mondo del lavoro. Tra gli elementi da tenere in considerazione risulta esserci, inoltre, la necessità di un aggiornamento continuo, proprio per questa tendenza, sempre più accentuata, di mutamento improvviso del mercato e delle esigenze delle imprese nei vari settori dell’economia. Proprio in merito a questa necessità di aggiornamento continuo, ACOM sta organizzando un webinar gratuito in merito alle nuove competenze e abilità richieste ai giovani nel settore del turismo. Storicamente per definire l’essenza del growth hacking ci si rifà a una data precisa, il 26 luglio 2010, quando per la prima volta il marketer Sean Ellis scrive un post dedicato all’argomento: “Find a Growth Hacker for your startup“. Di cosa si tratta? Il growth hacking è un mindset, un approccio. Il termine, non traducibile in italiano, viene usato per descrivere esperimenti e processi, principalmente nel campo del web marketing, volti a costruire e mantenere la base di clienti di un'azienda. Attraverso strategie creative, innovative e a basso costo è possibile ottenere questa crescita (growth). Il growth hacking è un processo, perché non esiste una formula magica universale da applicare, ma studiando il prodotto si arriva alla soluzione unica e adatta al caso. Proprio per questo motivo viene considerato come una estensione del marketing, una rivoluzione con caratteristiche precise che guidano l’ideazione del processo. Nell’immagine sottostante possiamo analizzare le differenze sostanziali tra marketing tradizionale e growth hacking marketing. Nel primo caso si tende a lavorare principalmente sugli step di acquisizione e consapevolezza. Invece nel growth hacking marketing si arriva fino alla fine del funnel (modello di canalizzazione dell’acquisto). In questo processo naturalmente si sperimenta parecchio per capire cosa funziona, e cosa no. Gli esperimenti vanno realizzati, analizzati in fase di applicazione e infine i risultati ottenuti vanno confrontati, metrica dopo metrica. Ricordiamoci sempre che ogni esperimento deve rispettare gli SMART goals (specific, measurable, attainable, realistic, time oriented). Una volta trovate le giuste combinazioni di esperimenti, il growth hacker le ottimizza e crea il suo processo evolutivo del prodotto. Ogni impresa può rivolgersi a un Growth Hacker per migliorare le proprie vendite, attraverso la creazione di un team che si dedichi al processo, in quanto il growth hacking è un lavoro collettivo. Si consiglia di avere all’interno del team: un programmatore in grado di lavorare alle specifiche del prodotto, un marketer con competenze sui canali di marketing ed advertising, un designer che indirizzi la fruizione del prodotto da parte del target e un supervisore del processo, ovvero un Growth Master. Una attività così centrale è preferibile portarla avanti internamente, piuttosto che lasciando carta bianca a un’agenzia esterna che non conosce bene il prodotto quanto come chi lo ha ideato. Naturalmente anche a questo obiettivo va assegnato un budget dedicato. Cosa rispecchia il profilo di un growth hacker? Sicuramente parliamo di uno specialista con nozioni di marketing online e di programmazione accompagnato da una buona dose di creatività che gli permette di visualizzare nuove strategie innovative e di successo. Pensando in ottica lavorativa ogni impresa, a prescindere dalla fase del ciclo di vita in cui si trova, ha bisogno di dedicarsi al growth hacking perché non esiste azienda che non ha bisogno di innovazione. E gli esperti che dirigono questa orchestra sono sempre più richiesti e ben pagati. Di seguito una parte dell’intervista fatta da ACOM a Raffaele Gaito, uno dei massimi esperti di Growth Hacking in Italia. La versione integrale è disponibile su richiesta nel report del mese di novembre, lasciate un commento per riceverla. “Cosa fa nel quotidiano un Growth Coach? Quali sono le skills imprescindibili per questo lavoro? Il mio lavoro è di insegnare ad aziende e professionisti come sperimentare con metodo. Mai come in questo periodo storico la sperimentazione ha un ruolo fondamentale. È l'unico modo che le imprese hanno per innovare e per adattarsi ai tempi che cambiano. È un lavoro dove sono richieste skill molto diverse tra di loro ed è perfetto per i profili multidisciplinari. Si va dall'analisi dei dati alla pubblicità, passando per il project management e la psicologia. Ma la skill più importante di tutte è la curiosità: se non si è curiosi è impossibile fare un lavoro del genere. ACOM si occupa prevalentemente del settore turistico: qualche esempio di successo in questo ambito nell’applicazione del Growth Hacking? Senza la necessità di andare oltreoceano, abbiamo in Italia una realtà che si muove nel settore turistico che applica con grande successo questo tipo di approccio ed è WeRoad, l'azienda che organizza viaggi di gruppo on the road in più di 90 destinazioni nel mondo. Il team di WeRoad si è distinto diverse volte negli ultimi tempi (anche in piena crisi COVID) per iniziative fuori dagli schemi che gli permettono di affrontare momenti difficili e uscirne indenni.” Per concludere, tre strategie marketing da growth hacker da seguire che permettono agli imprenditori di costruire il proprio marchio:
www.raffaelegaito.com https://blog.hubspot.com/sales/growth-hacking-websites https://www.forbes.com/sites/danschawbel/2013/09/16/ryan-holiday-why-all-marketers-should-be-growth-hackers/?sh=7f5f6dab26e8 Cos'è il Growth Hacking | Definizione Growth Marketing (growthhackingitalia.com) #growthhacking #customerbase #growthacker #marketingofproduct #growthhackmarketing #find a growth hacker for your startup #growthhacks #growthhackeritaliano La settimana scorsa abbiamo parlato in questo articolo delle skills imprescindibili sul lavoro, ma adesso contestualizziamo invece nel futuro del post pandemia: Nei prossimi anni, secondo il World Economic Forum sono previste più di 130 milioni di nuove opportunità lavorative nel mondo ed ecco perché diventano sempre più richieste nuove skills sul posto di lavoro. C’è chi si sta attualmente formando in tal senso e chi invece quando ci sarà bisogno dovrà attuare un’azione di reskilling. Sicuramente, data la situazione in corso tutte le imprese sono destinate a cambiare così come hanno dovuto già adattarsi, esplorando tutte le potenzialità del mondo della tecnologia, dello smart working e dei servizi digitali in continua crescita e diffusione. Molta strada c’è ancora da fare nel campo della trasformazione digitale e della formazione in sé per sé in quanto l’aspetto tecnologico è diventato fondamentale. Tra le soft skills individuiamo competenze quali il saper comunicare in modo efficace, saper lavorare in gruppo e gestire situazioni stressanti, il famoso problem solving; non basta solo questo perché serve dimostrarsi in grado di adattarsi, di essere flessibili ma soprattutto creativi. Nel settore marketing resta ancora cruciale costruirsi una rete di contatti e non potendolo fare alla “vecchia maniera” si ricorre sempre più ad eventi online, webinair e l’organizzazione di attività in rete che prevedano il coinvolgimento dei propri utenti permettendo così di rimanere in contatto con le persone; i canali online, i social sono diventati il mezzo principale di comunicazione e contatto. C’è la necessità, in futuro più che mai, di garantire al cliente un’esperienza di acquisto su misura soprattutto quando si confluirà sempre di più sui servizi digitali e si dovrà ragionare principalmente in un’ottica di customer experience. Inoltre, il Ministero dello Sviluppo Economico ha varato una misura che permetta alle PMI di ricevere un aiuto per attuare la cruciale trasformazione digitale di cui abbiamo parlato; si tratta del Voucher per consulenza in innovazione, tramite il quale l’azienda potrà scegliere un Innovation Manager con cui lavorare insieme per almeno 9 mesi. Inizialmente quando si sentiva parlare di competenze digitali ci si riferiva generalmente a qualcuno che sapesse ben destreggiarsi con la tecnologia mentre adesso questo non basta più: si è andati oltre, si devono saper ben gestire tutte le varie piattaforme, conoscere ed utilizzare al meglio tutte le loro varie potenzialità, la creazione di contenuti di valore e la capacità di gestione dei dati sono essenziali. Fra gli ambiti che necessiteranno maggiormente di investimenti abbiamo quello dei Data analytics e dell’e-commerce. Per quanto riguarda il primo, esso è in costante crescita da quando, insieme all’ingente mole di dati accumulati si è riscontrato anche il bisogno di qualcuno che sapesse effettivamente decifrarli questi dati, analizzarli e sfruttarli a vantaggio dell’azienda per spiccare sopra agli altri competitors. Anche il settore ricettivo è stato messo a dura prova in questo ultimo anno difficile e così gli hotel, non appena possibile sono ripartiti adattandosi alla situazione e cercando soluzioni innovative per garantire sicurezza ai propri clienti facendoli sentire sempre i benvenuti, anche senza il contatto umano diretto. Ecco allora che ci si è mossi verso servizi come i check-in online, dando la possibilità di inviare documenti e altro materiale necessario direttamente online; abbiamo anche check-in automatici con totem a disposizione dei clienti che potranno accedere nella struttura con totale autonomia. Per il self check-in esistono molte soluzioni innovative come applicazioni con le quali aprire direttamente la porta della propria camera, garantire il pagamento online dei vari servizi e anche degli extra, come le tasse di soggiorno o ancora, rimanendo nell’ambito delle applicazioni mobile, ce ne sono varie che vengono direttamente fornite dalla struttura o scaricate subito prima dal clienti in autonomia e con le quali potranno accedere a tutti i servizi dell’hotel, avere tutte le informazioni di cui necessitano e altro ancora. Nel campo del revenue management o gestione dei ricavi (che insegna, al fine di aumentare i ricavi e il tasso di occupazione nel nostro caso degli hotel durante l’anno, come regolare il prezzo e le strategie distributive in base alla domanda), anche qui la situazione non è delle migliori e c’è bisogno di un cambiamento per riprendersi e ripartire. Si deve continuare a raccogliere dati e tener traccia di tutti i movimenti, delle prenotazioni e di quelle cancellate, tenere d’occhio i settori che possono influenzare la domanda di viaggio. Dopo il Covid, quando la situazione si sarà sbloccata si dovrà ripensare completamente l’offerta e sarà probabilmente necessaria una nuova segmentazione in quanto cambieranno sicuramente le tendenze dei turisti. Le aziende si stanno progressivamente dirigendo verso un’informatizzazione che diventerà essenziale fra qualche anno ed ecco perché chi già possiede queste skills, o si sta muovendo fin da subito in quella direzione si ritroverà avvantaggiato rispetto a chi ancora fatica ad adattarsi ad un mercato in continua evoluzione. A tal proposito, noi di ACOM per il 10 marzo stiamo preparando un webinair gratuito focalizzato proprio sulla trasformazione digitale e sulle skills richieste per competere nel mondo del turismo. Registrati gratuitamente qui: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-quali-competenze-per-i-giovani-professionisti-del-turismo-post-covid-19-138917320445 Fonti:
www.randstad.it www.iodonna.it www.corrierecomunicazioni.it www.turismok.com www.italiaonline.iy www.labelium.com Questi tempi sono caratterizzati da un’enorme trasformazione economica, dall’era industriale direttamente alla società dell’informazione. La tecnologia è diventata parte integrante della nostra quotidianità, aumentando la velocità di cambiamento, di sviluppo, di aggiornamento. Questo cambiamento si è visto soprattutto nell’organizzazione aziendale, la nascita di nuove professioni, nuovi approcci e strategie. L’organizzazione del lavoro si è sempre basata sul modello Taylorista il quale fonda la produzione con un unico fine: l’incremento costante della produttività. Il parametro più importante è il tempo di produzione, non contano le competenze dei lavoratori bensì le performance legate alla quantità prodotta. La massima efficienza è ottenuta dalla standardizzazione della produzione e l’organizzazione è fortemente verticalizzata e centralizzata. Ma il mercato è in continuo cambiamento e a sua volta lo sono i clienti, i loro bisogni e la società in generale. Si inizierà infatti a dare più spazio alla qualità, nascono nuove tecnologie dando il via all’era post-industriale. Dall’inizio degli anni 2000 inizia a cambiare l’approccio organizzativo il quale si deve adattare ad una società in continuo mutamento e sempre più tecnologica. Lentamente si transita verso un’organizzazione più orizzontale, elastica, personalizzata e agile. Le aziende caratterizzate da un’organizzazione più decentralizzata, quindi orizzontale, danno importanza al concetto di network tra collaboratori per creare team che possano vantare conoscenze il più trasversali possibili, perciò ampie. Il capitale umano oggi è importante più che mai, lo sono le sue hard skills (le specializzazioni e conoscenze che uno possiede in determinati ambiti) ma lo sono ancor di più le sue soft skills (le sue capacità sociali e multidisciplinari). Questo nuovo modo organizzativo più elastico e agile permette di gestire il mercato complesso di oggi, dove il manager non impartisce ordini e i dipendenti come robot eseguono, bensì il manager diventa il coordinatore del team con il quale insieme raggiungerà gli obiettivi aziendali. Questa mutazione organizzativa spinge le imprese a ricercare modelli lavorativi diversi, dove competenze mirate non sono più valorizzate tanto quanto un tempo: oggi serve trasversalità per poter capire e gestire i cambiamenti del mercato e per fare ciò si inizia finalmente a valorizzare nuovi modelli relazionali e abilità sociali ovvero le famose soft skills: intelligenza emotiva, comunicazione, problem solving, adattabilità, gestione del tempo, teamwork, mentoring sono solo alcune di queste. Secondo il World Economic Forum (2018) le aziende che dureranno nel tempo saranno quelle che investiranno nella trasformazione digitale e nella formazione dei propri collaboratori. I candidati di oggi per avere successo hanno un nome ben specifico e si chiamano “T-shaped people”. Chi si può definire T-shaped? Sono persone in grado di combinare esperienze di business con capacità tecnologiche digitali e molteplici interessi. Un T-shaped ha una combinazione di capacità diverse, sono persone curiose riguardo il mondo che le circondano e volenterose nel provare a fare tutto, hanno una capacità principale che descrive la linea verticale della T , e conoscenze multi settoriali (date da interessi personali o una continua istruzione: life long learning) che costituiscono la linea orizzontale della T. Sono così empatici da poter abbracciare altre conoscenze e unirle alla conoscenza primaria, così facendo esercitano molteplici prospettive allo stesso momento esercitano comportamenti e azioni che vanno verso i bisogni umani universali. Le persone T-shaped possono adattarsi molto più velocemente ai cambi di ruolo soprattutto nel lavoro e sono grandi comunicatori e lavoratori di squadra. Per molti anni la IBM ha sottolineato l'importanza e il bisogno di più professionisti T shaped, perché sono molto più collaborativi, innovativi, si adattano più facilmente al cambiamento, sono risolutori di problemi e hanno soprattutto delle competenze comunicative che si estendono in molte aree diverse. I talenti digitali di oggi sono ancora isolati in funzioni e discipline che erano designate per incontrare i bisogni dell’era precedente, soprattutto accademicamente parlando. La stessa cosa accade per quanto riguarda incentivi e premi. Anche le università incoraggiano ad approfondire sempre più le stesse aree di specializzazione anziché ampliare le loro conoscenze tramite connessioni e networking con colleghi di diversi campi, errando nel mantenere una direzione relativamente “old-school”. In tutti i settori il nuovo millennio digitale ha bisogno e richiede nuovi tipi di professionisti e nuovi approcci lavorativi. Per aiutare le persone ad essere all’altezza di questi nuovo e dinamico ambiente fatto di rapidi cambiamenti e sistemi Smart, l’educazione dovrebbe incoraggiare lo sviluppo delle T-Skills sia per i professionisti digitali che per futuri lavoratori, i quali dovranno essere innovatori preparati per il futuro che richiede necessariamente specializzazione e flessibilità allo stesso tempo. I collaboratori di ACOM (docenti e studenti universitari) hanno dedicato una ricerca accademica riguardante le nuove competenze per il mondo del lavoro nell’era digitale, la formazione permanente dei professionisti, i manager del futuro e le soft skills del cambiamento. Il tutto è suddiviso in tre capitoli:
Riceverai inoltre molti altri approfondimenti come il report sulla tecnologia Blockchain e le sue applicazioni nel business e il prossimo elaborato riguardante le professioni del futuro con focus specifico nella professione del Social Media manager. Molti di voi ricorderanno come a dicembre, appena uscita la notizia del cashback di stato (il piano introdotto dal governo per incentivare e premiare chi usa carte e app per pagare nei negozi fisici tramite un rimborso del 10%) la corsa al download dell’ultima applicazione ha dato il via ad una serie di pagamenti ad applicazioni sbagliate. Infatti, molti italiani nella fretta della novità hanno scaricato (a pagamento) app che non c’entravano nulla con quella originale e gratuita creata da PAGOPA, ovvero lo stato italiano. Tantissimi utenti spinti dalla cosiddetta FOMO hanno pagato applicazioni che non servivano altro che a calcolare il 10% su cifre a caso come farebbe una semplice calcolatrice. Questo fenomeno si chiama FOMO, Fear of Missing Out, che in italiano si può più o meno tradurre come la paura di essere tagliato fuori, una specie di ansia sociale che arriva quando si ha paura di perdersi qualsiasi cosa, da un evento ad un’esperienza. Il motivo per cui la gente fa ore di fila per un biglietto per la promo di un film? FOMO. Perché gli acquisti sono sempre più standardizzati? FOMO. Questo fenomeno è diventato più evidente con l’utilizzo sempre più maggiore degli smartphone e ovviamente dei social network. Non è sicuramente una novità o una nuova tendenza creata da questi ultimi, ma tramite le vetrine social che ci spingono a confrontarci senza pause con le vite degli altri improvvisamente la nostra vita non è soddisfacente e abbiamo paura di star perdendo qualcosa. Secondo un sondaggio della University of Essex, la FOMO si verifica soprattutto in individui che si reputano meno autonomi o competenti e quindi sentono il bisogno di sentirsi sempre collegati ad altre persone nella vita quotidiana, spendendo moltissimo tempo online e conseguentemente lasciandosi influenzare. Cosa c’entra tutto ciò con il marketing? La FOMO non è nuova ed esiste da quando la pubblicità è nata. Ma nel marketing online questo fenomeno viene soprattutto usato per incrementare le vendite dei prodotti, spingendo la gente nella paura di perdersi l’occasione della vita attraverso trick psicologici come il countdown delle offerte sia di prezzo che di disponibilità di prodotti. La scarsità, infatti, viene vista come un valore perché significa che poche persone potranno usufruire di quel bene ed è considerato ciò che più fomenta la FOMO. I marketers lo sanno bene e giocano Altro esempio: Elon Musk fonda un nuovo social network no profit e non quota in borsa, ancora. Sempre Musk fa un tweet che invita gli utenti a scaricare e usare la sua nuova “Signal”. Grazie ad un solo post dell’imprenditore più famoso del mondo per far schizzare il titolo di Signal al 438% portando le quotazioni da 60 centesimi a 70$ l’una. Peccato che la FOMO ha portato gli investitori a comprare le azioni dell’azienda sbagliata: Signal Advance Healthcare non è sicuramente la compagnia social appena fondata da Musk, ma grazie a lui ora vale 3 miliardi di dollari. Lo stesso black Friday fa leva sulla FOMO, trasmettendo l’urgenza di approfittare degli sconti di quel particolare giorno con la paura che prezzi così non ci saranno più (pur non essendo vero), l’ansia porta il compratore all’acquisto compulsivo di cose di cui in realtà non necessita. Per non parlare dei materassi che vantano gli ultimi giorni di super sconto da… 10 anni ormai? Il social media marketing fa molta leva su questo, ed è volontariamente o meno, la psicologia su cui tutte le piattaforme si basano. Attraverso youtube, instagram o facebook gli influencer offrono contenuti e valore ai brand in modo (apparentemente) genuino e coinvolgente facendo sorgere soprattutto tra i più giovani un senso di addiction. Un youtuber o un influencer particolarmente famoso su instragram hanno una community affiatata che non aspetta altro che novità da parte di questi ultimi. E i social network alimentano la FOMO apposta con notifiche o e-mail e tutto ciò ovviamente per i brand è una combinazione vincente. Uno studio effettuato sui millennials canadesi mostra come il 68% di essi ha effettuato un acquisto entro le 24 ore a causa della FOMO data da un altro contatto. La FOMO perciò può essere usata a proprio vantaggio, senza dimenticarci però che noi siamo i primi a cadere in tentazione. Fonti:
https://www.ionos.it/digitalguide/online-marketing/social-media/fomo-fear-of-missing-out/ https://www.ninjamarketing.it/2016/08/05/la-fomo-social-media-marketing/ https://www.html.it/11/10/2019/social-network-la-fomo-guida-gli-acquisti/ https://www.quindo.it/fomo/ https://blog.tagliaerbe.com/fomo-fear-of-missing-out |
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April 2022
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