Siamo ad un anno esatto in cui è stato pronunciato per la prima volta il nome COVID-19 portando con sé grandi cambiamenti accompagnati da profonde crisi, alcune già preesistenti. Le parole più ripetute durante questo lungo anno, che sembra non essersi mai concluso, oltre a virus e pandemia, sono state digitalizzazione, tecnologia e trasformazione. Tecnologia e digitalizzazione oltre a essere le più enunciate sono entrate permanentemente nella vita di tutti i giorni. Il cambio di abitudini lavorative, scolastiche e familiari hanno segnato una linea profonda e ben visibile tra il mondo di ieri e il mondo attuale; l’introduzione della DaD e dello Smart Working hanno ridisegnato i quadri canonici che eravamo abituati a vedere aprendo, così, gli occhi su altro e stuzzicando l’attenzione verso altri temi come green, ecologia e sostenibilità. Di certo la riduzione dell’uso dei mezzi di trasporto e la ridefinizione del ciclo produttivo e lo stop agli spostamenti ha reso l’ambiente più vivibile rispetto al passato. L’uso intenso della tecnologia ha ridotto le distanze e reso tutto più agile nonché facile. Ma la tecnologia, come la usiamo oggi, è realmente sostenibile? In un articolo uscito sul L’Espresso del 7 febbraio 2021, Roberto Cingolani, fisico ed ex direttore dell’Istituto Italiano di tecnologia responsabile innovazione tecnologia Leonardo, disegna un quadro completo e interessante sulle tecnologie. In linea con il pensiero attuale sulla sostenibilità, la tecnologia digitale rappresenta il volano per accelerare lo sviluppo sostenibile attraverso la sua immensa possibilità di dematerializzare molte attività, rendere il lavoro più snello e veloce e riducendo gli spostamenti, ma ogni tecnologia deve essere usata equilibratamente e con parsimonia, nessuna di esse è gratis, salvo, il prezzo non siamo noi! Quanto, però, è verde la tecnologia digitale che usiamo? L’impronta energetica, ossia il consumo utile per far funzionare tutte le apparecchiature, cresce del 9% annuo aumentando il consumo di elettricità così come anche l’impatto ambientale. L’elettricità richiesta per le operazioni e elaborazione dei dati di qualsiasi attività varia tra il 5-9% del consumo totale di elettricità del mondo e sia responsabile di oltre il 2% di tutte le emissioni. Secondo una stima elaborata da MteC l’uso degli smartphone sul Pianeta genera circa 200 milioni di tonnellate di carbonio l’anno coprendo circa 7 miliardi di attività tecnologiche. La poca sostenibilità della tecnologia non è relativa solo al consumo ambientale in ottica elettrica, ma è da considerare l’inquinamento provocato dallo smaltimento dei supporti stessi: in Europa ogni anno si producono circa 12 milioni di tonnellate di rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. Un ultimo aspetto che impatta sulla visione totalmente sostenibile delle tecnologie, riguarda forse la sfera socio – culturale ed è la creazione di nuove disuguaglianze. Il Digital Divide non è solo una differenza di uso e possedimento della tecnologia, ma è una vera e propria barriera allo sviluppo, egualitario, sostenibile globale. Nei paesi più ricchi la spesa media per la digitalizzazione è cresciuta tra il 3 e il 5 per cento annuo; in altri paesi dove non c’è crescita del Pil il Digital Divide aumenta. Nel 2018 un americano consumava 140GB di dati al mese contro 2GD di un cittadino indiano, per cui la crescita tecnologica non è uniforme, ma il suo impatto è subito da tutti quasi allo stesso modo. L’energia elettrica è la causa principale dell’inquinamento nel settore e inficia la sostenibilità digitale: si stima che il consumo di energia delle TIC (tecnologie di informazione e comunicazione) corrisponda a emissioni di 830 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, pari al2% delle emissioni globali totali. Questa percentuale è destinata a raddoppiare entro l’anno prossimo (2020 – ci siamo quasi), lo stesso anno fissato dall’UE come limite per ridurre le emissioni del 20%. Fonti:
- Settimanale di politica cultura economia n°7 anno LXVII 7 febbraio 2021. - https://www.euractiv.com/ - https://www.mtec-sc.org
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